Tutti gli articoli di Paolo Bonafe'

Perché ho scelto di re-impegnarmi politicamente con Azione

segretari veneto

Gli ultimi decenni della storia del nostro Paese sono stati caratterizzati dalla crisi dei Corpi intermedi: sono gli anni dei partiti azienda, dei populismi, della dintermediazione, dell’egemonia delle piattaforme che sostituiscono i processi democratici propri dei partiti, dell’uno vale uno. L’evento traumatico del  Covid-19 ha rappresentato un radicale mutamento di scenario in cui  l’esigenza collettiva si è dovuta imporre a quella individuale. In una società, improntata all’individualismo, la pandemia ha comportato un cambio di priorità, che ha posto l’attenzione sugli organismi  che consentono di riportare le persone ad essere ascoltate non più solo come individui, ma come cittadini che condividono una condizione comune. E’ questo  il compito storico che la democrazia ha assegnato ai partiti, ai sindacati, alle associazioni di categoria, è questa una forma di rappresentanza di cui il Paese non può fare a meno per uscire dalla grave crisi economica, sociale e culturale in cui versa.

Ed è in questo contesto che nasce la mia decisione di ritornare a fare politica, scegliendo Azione di Carlo Calenda, un partito nuovo, ma che già nella scelta del nome esprime il suo essere radicato nella tradizione democratica, antifascista e nei principi fondanti della nostra Costituzione, collocato in un’area progressista ed europeista, che sta ponendo al centro della propria mission i temi cruciale e interdipendenti del lavoro, dei giovani e della ripresa economica. Questioni oggi ineludibili e assolutamente prioritarie, a fronte di un tessuto sociale che rischia  sacche sempre più gravi di impoverimento e di disgregazione. Il 16 gennaio si è svolto il 1 congresso Metropolitano di Azione Venezia e ho sostenuto la neo Segretaria Antonella Garro. Dopo una non lineare  fase di strutturazione vorrei che Azione divenisse, grazie anche al mio contributo,  luogo di ascolto dei bisogni del territorio, luogo di dibattito, confronto ed elaborazione di proposte  costruttive, capaci di incidere e dare risposte. Penso ad una casa trasparente in cui donne e uomini desiderino entrare, per mettere a disposizione saperi e competenze, per diventare attrici ed attori della vita politica del Paese, a partire dalle comunità di appartenenza. Questa è la sfida che io mi sento di raccogliere, consapevole che dobbiamo rappresentare una proposta credibile in un panorama in cui le logiche del potere sono più forti rispetto al perseguimento del bene comune, perchè, se fosse altrimenti, non sarebbe necessario fondare un nuovo partito.

In Azione, in questi mesi, ho conosciuto un gruppo di persone con cui condividere questi valori e questi obiettivi, con cui insieme investire in una politica intesa  come servizio ai propri concittadini. Assieme a loro voglio mettere a disposizione di Azione la mia conoscenza del territorio, delle sue criticità e delle sue risorse, la mia esperienza politica  e amministrativa, le mie competenze  professionali  come tecnico ed esperto di mobilità, trasporti, portualità e cantieristica. Si tratta di ambiti e temi cruciali per la città  di Venezia e per tutta l’area metropolitana, che devono essere affrontati con l’individuazione di  soluzioni che coniughino salvaguardia e sostenibilità, tutela ambientale e tutela dei posti di lavoro. Ritengo che oggi, ancor più di ieri, si debba tornare a fare politica, che  significa farsi carico delle questioni scottanti e di dare a queste risposte concrete, promuovendo la partecipazione, nei processi decisionali, di  tutti gli attori in campo.

Paolo Bonafè – Azione Venezia

energia 1

residenza a Venezia

ater

 

Ieri in Regione è andato in scena lo sfascio della gestione ATER. 6000 appartamenti vuoti in Veneto, di cui la stragrande maggioranza è non aggiudicabile perché non a norma e sovente in condizioni di degrado. Peggio di tutti fa l’ATER di Venezia (quattro appartamenti vuoti su cinque sono oggi non aggiudicabili). Dati oggettivamente spaventosi.

È una situazione frutto di anni di malgoverno e che ha visto vari responsabili succedersi senza apprezzabili differenze; prova del fatto che il difetto sta nel manico: il sistema non funziona. Sicuramente per inefficienze interne ma anche per motivi oggettivi (per esempio non si può sperare che ATER si mantenga e provveda alla manutenzione del patrimonio con le sole entrate degli affitti che sono spesso pressoché simbolici).

Non abbiamo ricette particolari ma non c’è dubbio che il sistema va riformato profondamente. La politica abitativa dei ceti meno abbienti è un tema qualificante di una società, è un elemento di civiltà in cui si attua il principio di mutua solidarietà tra i cittadini. Non può essere dimenticato e meno che meno essere fonte di clamorose ingiustizie (quanti “abbienti” stanno oggi in appartamenti pubblici pagando affitti ridicoli?). E a Venezia, stante la situazione della residenzialità, la questione è particolarmente vitale.

 

Antonella Garro, Segretaria Metropolitana di Azione Venezia

Paolo Bonafè, Segretario Comunale di Azione Venezia

1 giugno 2022

Siate Eretici di Don Luigi Ciotti

EAD59181-5F75-48DE-92D8-9FAF9FF977DB
SIATE ERETICI
Di Luigi Ciotti

Vi auguro di essere eretici.
Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità.
E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi.
Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno.
Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è.
Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa.
Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza.
Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione.
Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.

Partiti, vita democratica e limitazioni della privacy 

Uno dei temi di maggiore discussione nella vita democratica all’interno dei partiti e’ quello legato alla legge sulla privacy.

Ovvero quanto,  in che modo e come, posso coinvolgere gli iscritti nella normale interlocuzione tra di loro e tra di loro e il partito.

Oramai whatsapp ha soppiantato le mail, ed è uno strumento rapido,  che arriva direttamente nella vita di coloro di noi che sono  sempre connessi.

il Garante per la privacy ha ben delineato  le regole e in che modo e in che forma  si possono utilizzare i dati personali degli iscritti:  sia in occasione delle votazioni, sia in merito alla circolazione e alla diffusione di progetti, idee, programmi, tra iscritti di un partito ,

Purtroppo vi è ancora qualcuno che usa tale legge sulla  privacy come grimaldello per discriminare e limitare  la libera circolazione del pensiero tra iscritti

Sono fortunatamente pochi, ma purtroppo molto attivi.

Sono persone che non concepiscono tale forma democratica di comunicazione come un valore, ma come uno svantaggio, e hanno forza della loro azione  soprattutto in quei partiti meno democratici (ovvero dove  i vertici sono cooptati e non eletti)  o in evoluzione e/o  costituzione,.

Sono persone che usano la legge sulla Privacy e sulla diffusione dei dati personali, più come un bavaglio che una forma di rispetto di regole civili.

Come che chi si iscrivesse ad un partito, non sapesse che si iscrive in un contenitore/ associazione,  dove diventa naturale la trasmissione di proposte e pensieri,

Dove la normale dialettica rientra nella vita dello stesso partito o movimento,  nelle sue dinamiche e, alle volte anche nelle logiche contrapposizioni di pensiero .

Dove la dialettica è linfa di crescita di un Partito!

Normalmente i partiti di dotano di regole interne al partito stesso,  ovvero di statuti e regolamenti, che a loro  volta devono però essere rispettosi delle norme generali, che possiamo chiamare più in generale regole del gioco democratico,

Questo vale ancora di più in occasione  di competizione elettorale interna tra gli iscritti, come possono essere  i congressi di partito, dato che gli elettori sono gli stessi iscritti, i quali per poter votare bene , devono essere il più possibile informati ed edotti delle regole del gioco, di chi sono i competitor in campo, delle mozioni/programmi che i candidati presentano e io direi dovrebbero essere ben informati di chi sono gli altri , ovvero chi sono i sostenitori di una e dell’altra mozione.

Questa è DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Poi vi è un ragionamento da fare su cosa intendiamo per libera partecipazione alla vita politica

Innanzitutto l’art. 2 della Costituzione che cita: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale

Cosa significa? Che la Costituzione stabilisce con questo articolo l’esistenza di diritti che in nessun caso possono essere negati da persone ed istituzioni, ossia diritti di cui un uomo gode in quanto uomo e donna ( il diritto di vivere, di parlare, di procreare etc). Tali diritti non sono annullati dal fatto che l’uomo partecipa ad associazioni o partiti.

Inoltre questo articolo sancisce l’importante principio del pluralismo, attribuendo al singolo una posizione di gran rilievo anche all’interno delle formazioni sociali, considerate luogo importante per lo svolgimento della sua personalità.

Poi vi è l’art. 18 Costituzione che riconosce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente senza previa autorizzazione e l’art. 49 Costituzione , che, nel ribadire il diritto del singolo di associarsi liberamente, ne specifica la portata all’interno della formazione-partito.

Quest’ultima norma fornisce una serie di parole chiave, utili alla comprensione dell’oggetto del presente testo: e cioè “concorso”, “metodo democratico” e “determinazione della politica nazionale”.

Tali termini sono adoperati dal Costituente al fine di definire quale “concorso” porti alla fondamentale partecipazione dei cittadini, quale “metodo democratico” sia il limite e il modus operandi dell’associazione partitica ed, infine, indicando con “determinazione della politica nazionale” il fine della stessa.

La disposizione costituzionale non stabilisce, al di là del metodo democratico, limiti ulteriori all’associazionismo in partiti, interessandosi per di più di gettare le basi della “democrazia pluralista”, aperta, cioè, a tutte le forze politiche purché non violente.

In tal modo il sistema partitico ha potuto godere di un’ampia libertà, che tuttavia ha finito per “tradire” lo stesso spirito della Costituzione nel momento in cui quella libertà è stata piegata alla realizzazione di una “democrazia dei partiti”, anziché di una “democrazia mediante i partiti” .

La soluzione della questione democratica è suggerita già dal Costituente, che nel «metodo democratico» individua il fondamento della tutela del cittadino in tutte le vicende che lo coinvolgono in rapporto al partito – si tratta di una partecipazione “statica”- come l’ammissione, l’espulsione, le dimissioni, i provvedimenti disciplinari e quelli sanzionatori, ma anche “dinamica” nella partecipazione alla vita stessa del partito.

Ovvero Il metodo democratico costituisce altresì la copertura costituzionale di quegli istituti funzionali alla partecipazione, per così dire, “dinamica” del cittadino all’interno della formazione partitica.

Si tratta, in sostanza, della possibilità di determinare il programma e le scelte del partito e di selezionare i candidati alle elezioni. L’insieme delle facoltà concernenti la partecipazione statica e dinamica del cittadino al partito si sintetizzano nella più generale “funzione democratica”, che può considerarsi soddisfatta se i partiti conservano la loro caratteristica di organismi rappresentativi e mediativi, ossia che «nascono a livello della società civile e sfociano a livello statale»

I partiti in Italia, da un lato, si configurano come associazioni private non riconosciute, e come tali soggette alla disciplina degli artt. 36 ss. del cc., dall’altro, essi svolgono funzioni aventi rilevanza pubblicistica poiché si occupano dell’organizzazione del corpo elettorale e della selezione dei candidati. Pertanto, al fine di chiarire questi aspetti bisogna interrogarsi innanzitutto sulla configurazione giuridica della formazione partitica nel nostro sistema e sulla sua posizione in rapporto alla forma di governo.

La posizione del partito all’interno del sistema è, d’altronde, fondamentale per comprendere come si struttura la forma di governo in un determinato ordinamento, e al di là delle teorie sulla forma di governo che ne hanno fatto la storia il Costituente italiano ha scelto una soluzione intermedia – legalisierung – per consentire «la maggiore espansione della libertà di associazione in partiti», rigettando sia la soluzione scelta dalla Costituzione francese del 1946 – ignorierung – sia quella scelta dalla Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca nel 1948 – inkorporation .

Allora ci si chiede se è una democrazia di qualità quella in cui non è lasciato spazio alla libera manifestazione di idee che siano non contrarie alla democrazia stessa.

Una democrazia dovrebbe essere tale proprio nella misura in cui lo permetta. Si comprende, allora, come la questione della “qualità della democrazia” sia intimamente legata all’organizzazione interna dei partiti: da qui ci si chiede se sia necessaria una regolazione che si renda terza rispetto agli statuti e che miri, in questo caso, alla soluzione della disputa, in assenza di indicazioni da parte della Costituzione, indipendentemente dalla natura giuridica e dalla posizione nella forma di governo che si intende assegnare al partito.

Ovvero un partito è veramente democratico se si riesce a dare una configurazione certa e coerente all’organizzazione politica «mediante la predisposizione di regole e meccanismi interni idonei a garantire la possibilità e qualità della partecipazione» di tutti i soggetti che di quel partito vogliono essere classe dirigente.

In questi termini si pone la “questione democratica” relativa alla disciplina dei partiti: non c’è democrazia senza partiti, poiché «la qualità dei partiti incide sulla qualità della democrazia» Ma una disciplina sui partiti sarebbe legittima costituzionalmente? Che contenuto dovrebbe avere? Quale discrezionalità residuerebbe ai partiti? Che rapporto ci sarebbe tra regolamentazione della democrazia interna e (“ristretta”) democrazia protetta all’italiana?

Il problema allora si pone nei seguenti termini: come realizzare concretamente la declinazione interna di «metodo democratico» nelle organizzazioni partitiche?

Quest’operazione dovrebbe considerare sia le teorie sulla natura giuridica del partito sia le peculiarità del sistema politico italiano. Inoltre, al fine di rendere il partito un rinnovato strumento di democrazia e di partecipazione sarebbe necessario stabilire una serie di regole che consentano ai cittadini di esercitare la sovranità concretamente, rendendosi attori delle scelte che li riguardano.

Naturalmente, ciò è possibile nella misura in cui i partiti non vengano svuotati del tutto della loro discrezionalità minima. Sotto questo aspetto, appunto, ci si chiede se per fare ciò sia sufficiente il solo rispetto dei principi democratici sanciti in Costituzione, oppure sia necessario delineare un modello di partito, attraverso la previsione di uno statuto-tipo, che enuclei le caratteristiche principali di un partito rispettoso del metodo democratico. Indipendentemente dalla soluzione pratica che si intende adottare è necessario comunque che un minimo di garanzia dei fondamenti democratici sia sostenuta attraverso delle regole che sanciscano la necessaria osservanza dei valori dello stato di democrazia pluralista. D’altro canto, l’evoluzione dei partiti è strettamente collegata allo sviluppo della democrazia, rispetto alla quale il partito ha avuto sia una funzione

I partiti italiani, nella Costituzione italiana, hanno ampliato sempre più la partecipazione popolare, sia in funzione qualitativa, perché si è preoccupato di «approfondire la coscienza democratica dei partecipanti». Il contributo partitico non è servito, tuttavia, a migliorare la qualità democratica del partito, almeno in alcuni momenti fondamentali della sua vita, come quello dell’ammissione e delle dimissioni dal partito, dell’uguaglianza, della libera espressione, delle decisioni programmatiche e della scelta dei candidati alle cariche elettive, dei congressi 

La democraticità interna ai partiti, pertanto, è sintomatica della democraticità dell’ordinamento statale nel suo complesso. D’altronde Moro, Mortati e Calamandrei affermarono proprio ciò in Assemblea Costituente, ossia che un partito che non sia democratico al suo interno non potrebbe fungere da ingranaggio democratico in un ordinamento costituzionale.

Pertanto, ha ancora senso discutere di “metodo democratico” all’interno dei partitise non permettiamo la libera circolazione di idee tra iscritti, pertanto prevista dalla legge sulla privacy?

In tutto quanto premesso non è lecito che chiunque si presenti alla competizione elettorale interna possa esprimere le proprie idee e il proprio pensiero alla platea elettorale degli iscritti, fermo restando che all’atto dell’iscrizione ogni iscritto formula una liberatoria non verso il singolo ma verso l’organizzazione del partito?

Ecco questa è la questione cardine, ovvero l’uso dei dati di aderenti e cittadini che hanno contatti regolari con i partiti

Il Garante per la privacy scrive che: l’uso dei dati personali per Partiti, movimenti, comitati per le “primarie” e’ autorizzato  senza consenso se i dati di aderenti o di cittadini (con cui intrattengono contatti regolari) vengano utilizzati per scopi individuati nello statuto o nell´atto costitutivo. Serve invece il consenso scritto per comunicare i dati all´esterno (ad. es., ad altri partiti appartenenti alla stessa coalizione) o per diffonderli. La stessa regola vale per i comitati di promotori o sostenitori che devono avere il consenso degli aderenti per comunicare i dati a terzi.

Quindi, se in piena libertà io cittadino mi iscrivo ad un partito, poi ho veramente necessità di tutelare la mia privacy che di fatto mi esclude dal  circuito delle informazioni e comunicazioni,  oppure ho interesse di partecipare alla vita attiva di quel partito? 

Per me la risposta è ovvia!

no perché altrimenti sarei escluso dalla vita di quel partito e chi mi vuol escludere mi crea un danno

Il rispetto verso le donne parte da gesti quotidiani

0AD300BC-5B5B-41AC-9FD9-F75E61673823
E7775690-2973-4C05-A7F9-54ED531DF518
3166B7D6-F64E-4CED-B2DC-A213A45D510F

 

Questa è la Statua inaugurata il 26 settembre (ieri) a Sapri delle Spigolatrice .

Ricordo della poesia di Luigi Mencantini ispirata alla tragica missione di Carlo Pisacane a Sapri, dove in 300 trovarono la morte ( eran trecento, erano giovani e forti, e sono morti).

Il poeta in modo originale ha adottato, per raccontare l’evento storico , il punto di vista di una donna addetta alla spigolatura del grano.

L’inaugurazione della statua (aggravata dalla presenza di Conte (?) e delle autorità locali Autorità, che nulla hanno avuto da ridire), ha rappresentato un ‘ ulteriore offesa alle donne: si tratta, infatti, di un opera che evidenzia le curve del corpo, enfatizzandone, ancora una volta l’aspetto sessualizzato. .

Viene così a mancare il rispetto per le donne e per il loro ruolo nella Storia.

Il cambiamento culturale e di pensiero inizia quando, Noi uomini, cominciamo ad indignarci per questi fatti!

 

La Riforma Fiscale deve prevedere la Revisione del Catasto ma anche la diminuzione IVA e la rimodulazione Aliquote IRPEF

 

ARTICOLO GAZZETTINO 24-09-2021foto catasto 1

foto catasto 2

La Riforma Fiscale deve prevedere la Revisione del Catasto ma anche la diminuzione IVA e la rimodulazione Aliquote IRPEF

 ​Il Governo sta valutando una revisione del catasto a partire dalla prossima riforma fiscale. L’intervento andrebbe a rivedere la classificazione degli immobili (nonché la loro valutazione), cercando di assicurare un equilibrio che tenga conto dell’attuale valore delle strutture, più che della loro grandezza o composizione, puntando di fatto a modificare il sistema di calcolo e stima del valore di un immobile. L’obiettivo è quello di rivalutare gli immobili sulla base del loro valore e del loro posizionamento del mercato. Tra i punti cardine vi è: la semplificazione delle categorie catastali; il superamento dell’attuale distinzione tra case popolari e di lusso; l’introduzione del valore reddituale e l’abbandono del calcolo dei vani catastali​, ​per lasciare spazio a quello dei metri quadrati., tenendo sempre a mente che una villa avrà certamente un inquadramento diverso di un appartamento, anche – e soprattutto – tenendo conto della zona in cui si trova. Nello specifico, il valore di reddito potrebbe essere affiancato da quello medio di mercato (e quindi contribuire e influire sulla stima finale), con il definitivo addio della distinzione tra immobili di lusso ed economici. Le categorie catastali, verrebbero ridotte a due, ovvero: ordinarie e speciali, con la previsione di altri sottogruppi per ogni tipologie di immobile trattata (ville, appartamenti, condomini etc.). Il valore di una singola unità immobiliare, infine, dipenderebbe dal rapporto tra: il valore che una determinata categoria ha nella zona in cui si trova, moltiplicato per superficie in metri quadrati. La logica del nuovo catasto suggerisce di tenere conto della fattura di un immobile, nonché del quartiere in cui si trova e dei servizi a cui il proprietario ha accesso. Questo a fronte del fatto che un appartamento in pieno centro storico non può avere lo stesso valore di un rudere costruita in una campagna sperduta. ​Di questo se ne sta discutendo da anni e diverse sono le posizioni politiche in campo, un aspetto però che non deve trascurarsi è che questo comporterà un aggravio di costi per le transazioni di immobili di pregio, mentre per la esenzione sulla prima casa non toccherebbe i proprietari della propria abitazione.​ Personalmente ritengo che unitamente a questa vi siano altre due misure fiscali da contemplare nella complessa riforma fiscale in atto: la prima è la riduzione dell’IVA, per il rilancio dell’economia e la seconda è l’ampliamento dello forbice della aliquota IRPEF del 27% per redditi fino a 40.000 euro.​

 

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

L’intelligenza artificiale in aiuto della scienza per combattere le pandemie

foto intelligenza artificiale

foto intelligenza artificiale2

Ora che la Pandemia legata al Covid 19 sta trovando, a livello internazionale, una condivisa linea di intervento basata sui vaccini, ma anche su cure mediche sperimentali, gli scienziati stanno discutendo come cercare di prevenire in futuro gli stessi problemi e modalità, ovvero come in questo tempo globalizzato, si possa consentire ai ricercatori di bloccare eventuali e prevedibili nuove pandemie. L’innovazione tecnologica potrebbe rappresentare un valido aiuto e per questo si comincia a parlare di applicare l’intelligenza artificiale alla lotta contro il COVID-19, anche se per gli strumenti ora disponibili e per l’attuale diffusione mondiale, questo non sembra ancora praticabile. In cosa consiste l’intelligenza artificiale (IA)? La definizione è quella dell’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Ovvero L’intelligenza artificiale permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sembra fantascienza ma invece è già una realtà. L’esperienza che si sta maturando a livello Mondiale potrà essere utile per imparare a fronteggiare in modo efficace la prossima epidemia. Attraverso l’IA i ricercatori possono infatti combinare e analizzare enormi quantità di dati in tempi estremamente rapidi, consentendo così di velocizzare lo studio di nuovi farmaci e nuovi approcci.

L’esempio del COVID-19 è importante: in pochi mesi dall’inizio degli studi sulla malattia, gli scienziati sono stati in grado di isolare il virus e sperimentare cure e vaccini, dei quali ancora non conosciamo bene l’efficacia, o meglio la durata, infatti si parla in questi giorni di terza dose. Se i dati fossero stati elaborati con sistemi di intelligenza artificiale, forse i tempi sarebbero stati ancora più rapidi. Mi ha colpito un testo nel quale si citava mr. Andrew Hopkins, CEO della startup Exscientia Ltd., il quale affermava che se si utilizzasse l’intelligenza artificiale le ricerche potrebbero essere fino a 5 volte più rapide rispetto ad oggi e potrebbero permettere di introdurre in commercio un nuovo farmaco in soli 18-24 mesi. La sua azienda ha studiato, in particolare, l’utilizzo dell’IA per la ricerca di un trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo e, ad un anno dall’inizio delle ricerche, la cura è pronta per essere testata in laboratorio. Un approccio simile è adottato anche dalla società Healx, che sfrutta tecnologie di “machine learning” per trovare nuovi utilizzi di famaci esistenti. Quindi l’Intelligenza artificiale diventerà uno strumento importante per gli scienziati anche se ritengo che la stessa non debba sostituire la loro opera perché comunque questa è appunto necessaria come guida. Il ruolo degli scienziati dovrà però mutare e specializzarsi a metà tra biologia ed elettronica, con acquisizioni di competenze tecniche specialistiche molto avanzate: non basterà essere un ingegnere specializzato in intelligenza artificiale, ma occorreranno anche conoscenze biologiche approfondite.

 

Paolo Bonafè

Il nostro Futuro dipende dalla transizione ecologica

foto transizione ecologica

foto transizione ecologica2

Domani 20-09-2021 lettera il nostro futuro dipenda dalla transizione ecologica

Il processo, connesso  alla transizione ecologica, esige  profondi cambiamenti dei nostri quotidiani stili di vita, dell’attuale  modello di  sviluppo economico e di pianificazione, secondo un approccio innovativo, fondato sull’ apprendimento, rivolto alla pluralità di attori in campo.

Ma la Transizione ecologica, cos’è veramente?

Ne parla spesso la fondatrice dei Fridays for Future, Greta Thunberg, al punto che,  la visibilità della giovane attivista e la sua  capacità di mobilitare l’opinione  pubblica mondiale,   hanno introdotto questo termine nel linguaggio internazionale  della politica.  

La transizione ecologica  attiene ad un cambio di paradigma nella politica, nell’economia e nella società, non afferisce, quindi,ad una generica  tutela ambientale,ma richiede un cambiamento radicale . Il vero obbiettivo è, infatti, I’ incidere profondamente  nei processi di produzione e nei modelli di consumo. Azzerare le emissioni di CO2, comporta una rivoluzione : abbandonare  i combustibili e le materie prime oggi in uso, arrestare il consumo del territorio, procedere alla riqualificazione urbana  secondo i principi della bioedilizia,  trasformare  i nostri stili alimentari, implementare in maniera esponenziale la piantumazione di alberi. 

Centrale diventa il tema del consumo delle risorse, secondo l’approccio dell’economia  circolare, capace di garantire lunga vita alle materie prime. Gli scienziati segnalano incessantemente la sempre più vicina catastrofe ambientale, per cui assistiamo  ad una crescente attenzione da parte dei cittadini e delle  imprese al tema, con interessanti esperienze di nicchia, ma è presente il rischio che tale sensibilità si esaurisca in enunciazioni di principio, mentre dobbiamo invertire immediatamente  la rotta del nostro modello economico.

Per quanto concerne l’Italia,  il governo Draghi  ha la grande responsabilità di avviare questo processo di cambiamento, in quanto chiamato a  gestire i fondi europei del Next Generation Eu (o Recovery Fund) che in buona parte sono vincolati al “Green New Deal”, un piano per la conversione ecologica della stessa economia. Da come investiremo questi soldi e dai nostri comportamenti personali futuri, arriverà la vera svolta per la sopravvivenza del pianeta Terra.

 

Paolo Bonafè 

Lido di Venezia

Per fermare la violenza sulle donne si deve partire da tre azioni concrete

D7E7CF3D-DD26-49AE-A55D-A25C651BF690FA066E66-AA6D-446C-B0BD-8CC52CF91C76foto di violenza-sulle-donnefoto di violenza sulle donne 2

Anche la giornata di ieri è stata funestata da un femminicidio, che riporta la drammaticità di questa “guerra” perpetrata nei confronti delle donne, da una parte della popolazione maschile legata ad antiche logiche di disuguaglianza sociale e di donna oggetto, Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3. In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici, quindi la cerchia più intima. Sempre Istat 2020 ci dice che 6 milioni e 788 mila donne hanno subìto, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, che il 20,2% (pari a 4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, che il 21% (pari a 4 milioni 520 mila) violenza sessuale e il 5,4% (pari a 1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Questi dati sono sconvolgenti.  Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). Per fermare tutto ciò si devono fare tre azioni concrete: la prima è quella di favorire l’indipendenza economica delle donne, perché è la base di scelte consapevoli e autonome; la seconda di rimettere mano alle strutture sociali, a quella costellazione di sostegni territoriali alle famiglie (soprattutto in presenza di bambini) che i lockdown hanno rivelato fragili se non assenti e la terza di combattere insieme contro i pregiudizi inconsapevoli, quelli che continuano a muoversi nell’oscurità del corpo sociale e dei nostri corpi individuali, quelli che influenzano le nostre aspettative di genere e vanno poi a modellare le abitudini, le (cattive) pratiche, le istituzioni. Sono più potenti degli stereotipi, dei quali abbiamo almeno imparato a dibattere.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia

Attendiamoci uno Tsunami di migliaia di disperati in fuga dalle guerre

foto di afgani in fugafoto di esodo di afgani

Oramai è evidente che pensare all’emergenza profughi, come solo quella collegata agli sbarchi e salvataggi in mare di persone, che scappano dalle atrocità delle guerre e dalla fame in africa, è riduttivo, rispetto alla tragedia immane che sta interessando larghe parti del Mondo e che travolgerà, purtroppo, come uno tsunami l’Europa e quindi anche l’Italia. Nel nostro Paese, le scelte politiche fatte dai governi precedenti hanno indebolito, se non distrutto, il sistema di “prima accoglienza”, che era già in crisi, riducendo la nostra capacità di accoglienza in termini qualitativi e quantitativi. Le drammatiche immagini che abbiamo ancora negli occhi dell’aeroporto di Kabul, assediato da migliaia di disperati alla ricerca di una via di fuga, rischiano di essere soltanto il prologo di un dramma pronto, entro poche settimane, a replicarsi alle porte dei nostri confini orientali e a quelli di Austria e Germania. Basti pensare alle centinaia di migliaia di rifugiati afghani che stanno attraversando l’Iran e Turchia per risalire lungo la rotta balcanica ed arrivare in Europa, e sarà ben difficile respingere quei migranti trattandoli da semplici «irregolari». E non solo perchè fuggono dall’odio e dall’intolleranza talebana, ma anche, e soprattutto, perchè li abbiamo abbandonati, dopo aver promesso loro, per vent’anni, democrazia e rispetto dei diritti umani.. Necessita la capacità della Ue di trattare con tutti i paesi allineati lungo la rotta della disperazione afghana: dall’Iran, alla Turchia, fino alla Grecia e ai paesi della ex Jugoslavia, perché vi sia un progetto e una strategia comune sull’ accoglienza, dato che  l’emergenza nascerebbe soprattutto dall’incapacità di accogliere e di integrare, ovvero di fornire strumenti per emanciparsi dal bisogno dell’accoglienza e per costruirsi una vita autonoma all’insegna della dignità e della legalità.

Paolo Bonafè

Lido di Venezia