L’intelligenza artificiale in aiuto della scienza per combattere le pandemie

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Ora che la Pandemia legata al Covid 19 sta trovando, a livello internazionale, una condivisa linea di intervento basata sui vaccini, ma anche su cure mediche sperimentali, gli scienziati stanno discutendo come cercare di prevenire in futuro gli stessi problemi e modalità, ovvero come in questo tempo globalizzato, si possa consentire ai ricercatori di bloccare eventuali e prevedibili nuove pandemie. L’innovazione tecnologica potrebbe rappresentare un valido aiuto e per questo si comincia a parlare di applicare l’intelligenza artificiale alla lotta contro il COVID-19, anche se per gli strumenti ora disponibili e per l’attuale diffusione mondiale, questo non sembra ancora praticabile. In cosa consiste l’intelligenza artificiale (IA)? La definizione è quella dell’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Ovvero L’intelligenza artificiale permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sembra fantascienza ma invece è già una realtà. L’esperienza che si sta maturando a livello Mondiale potrà essere utile per imparare a fronteggiare in modo efficace la prossima epidemia. Attraverso l’IA i ricercatori possono infatti combinare e analizzare enormi quantità di dati in tempi estremamente rapidi, consentendo così di velocizzare lo studio di nuovi farmaci e nuovi approcci.

L’esempio del COVID-19 è importante: in pochi mesi dall’inizio degli studi sulla malattia, gli scienziati sono stati in grado di isolare il virus e sperimentare cure e vaccini, dei quali ancora non conosciamo bene l’efficacia, o meglio la durata, infatti si parla in questi giorni di terza dose. Se i dati fossero stati elaborati con sistemi di intelligenza artificiale, forse i tempi sarebbero stati ancora più rapidi. Mi ha colpito un testo nel quale si citava mr. Andrew Hopkins, CEO della startup Exscientia Ltd., il quale affermava che se si utilizzasse l’intelligenza artificiale le ricerche potrebbero essere fino a 5 volte più rapide rispetto ad oggi e potrebbero permettere di introdurre in commercio un nuovo farmaco in soli 18-24 mesi. La sua azienda ha studiato, in particolare, l’utilizzo dell’IA per la ricerca di un trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo e, ad un anno dall’inizio delle ricerche, la cura è pronta per essere testata in laboratorio. Un approccio simile è adottato anche dalla società Healx, che sfrutta tecnologie di “machine learning” per trovare nuovi utilizzi di famaci esistenti. Quindi l’Intelligenza artificiale diventerà uno strumento importante per gli scienziati anche se ritengo che la stessa non debba sostituire la loro opera perché comunque questa è appunto necessaria come guida. Il ruolo degli scienziati dovrà però mutare e specializzarsi a metà tra biologia ed elettronica, con acquisizioni di competenze tecniche specialistiche molto avanzate: non basterà essere un ingegnere specializzato in intelligenza artificiale, ma occorreranno anche conoscenze biologiche approfondite.

 

Paolo Bonafè