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Scritta antisemita al Lido: un segnale da non sottovalutare

Esprimo, a nome del mio partito e mio personale, il raccapriccio e l’esecrazione per la scritta antisemita apparsa al Lido. Azione si unisce alla condanna unanime da parte di tutte le forze politiche e apprezza la prontezza dell’Amministrazione nel cancellare quelle parole deliranti.

Si potrebbe essere tentati di derubricare l’accaduto a bravata di un dissennato, tanto truculenta e insensata è la minaccia apparsa sul muro del Galoppatoio di via Sandro Gallo.  E verosimilmente l’autore della scritta è davvero uno squilibrato. Tuttavia, accende un segnale serio di attenzione: le manifestazioni di antisemitismo si stanno pericolosamente moltiplicando, nelle università l’aria per gli studenti ebrei è diventata irrespirabile e da più parti è imposta una narrazione antisemita tout court, del tutto scollegata dalle responsabilità del governo Netanyahu e neppure correlata alla umana e doverosa solidarietà per la tragedia umanitaria dei palestinesi. È invece necessario saper scindere le azioni delle forze armate israeliane, dalla appartenenza alla comunità ebraica.

E soprattutto è necessaria la consapevolezza che la questione israelo-palestinese è maledettamente complessa e vi sono torti e ragioni da tutte le parti. Vi è invece un certo immaginario collettivo, fatto di terzomondismo e sensi di colpa occidentali per i peccati del colonialismo, per il quale gli ebrei sono i cattivi perfetti: ovvero i ricchi che vessano i poveri, gli amici degli amerikani. La stessa nascita di Israele, per taluni, è il colpo di coda del colonialismo. Insomma, prendersela con loro ha la fascinazione del sentirsi progressista, pacifista, buono e superiore.

 

Poi i risultati sono le scritte al Galoppatoio. Ricordiamoci sempre delle parole di Francisco Goya: il sonno della ragione genera mostri.

 

Paolo Bonafè Segretario Comunale

 

https://www.linkedin.com/company/azioneveneto

14 maggio 2024

 

 

Poi i risultati sono le scritte al Galoppatoio. Ricordiamoci sempre delle parole di Francisco Goya: il sonno della ragione genera mostri.

 

Paolo Bonafè Segretario Comunale

 

https://www.linkedin.com/company/azioneveneto

14 maggio 2024

In merito al ticket di ingresso

Dopo le dichiarazioni alla stampa del Sindaco e delle opposizioni, torniamo sul tema turismo e in particolare sulla questione del ticket d’ingresso,

Il turismo – lo ribadiamo – è per noi tema centrale, perché siamo consapevoli che riguarda la più importante risorsa economica del territorio, ma siamo anche consapevoli  – e la realtà è sotto gli occhi di tutti – che un carico eccessivo mette in pericolo il bene storico e soprattutto rende invivibile la città, per i residenti ed anche per i visitatori medesimi.

Venezia va preservata, non solo come complesso monumentale o “museo” (così la definisce il sindaco), ma soprattutto, come città viva, tessuto urbano, sociale e antropologico. Abbiamo già detto che stabilire il numero di presenze massime in Città è l’azione principale per regolare il flusso turistico, compreso e, soprattutto, quello giornaliero. Senza una strategia su questo punto, il contributo d’accesso per i giornalieri rischia di essere una mera operazione di cassa, ininfluente ai fini della qualità della vita in città, sia sul versante dei residenti che dei visitatori stessi. Oltretutto comporta mettere in atto un sistema di controllo che rischia di essere inefficiente e sgradevole. Se invece il senso è iniziare una sperimentazione seria e guidata, ben venga, a patto che non sia vissuta come la prenotazione alla visita ad un museo, ma come atto di responsabilità collettiva a tutela della civitas veneziana. Per questo, oltre alla soglia di carico massimo, andranno potenziate tutte le iniziative collaterali a rendere Venezia fruibile al turista (mezzi di trasporto, servizi) e soprattutto per rendere vivibile la città per il residente (e dunque, politiche di territorio e di residenza, per rimanere del tutto esemplificativi)

 Paolo Bonafé – Segretario Comunale Azione Venezia

Anna Paola Klinger – Responsabile Turismo Azione Venezia 

#italiasulserio

Perché a Venezia può nascere una Cittadella del Cinema

Venezia è una delle città più amate dal mondo del cinema, Venezia è il cinema. La storia di quest’arte è passata per la nostra Città con grandi interpreti e film. Ma Venezia può e deve essere anche sede produttiva, ben di più che mera location. Può far crescere e attrarre talenti e professionisti del settore.  In questi giorni il Lido si sta attrezzando  per la chermesse di settembre,  che la vedrà ergersi alle cronache mondiali,  ma riteniamo che Venezia possa ambire a qualcosa di più e diventare la capitale del Cinema italiano, o almeno esserlo alla pari di Roma. “Stiamo assistendo in Veneto ad una straordinaria vivacità culturale che investe ora anche il cinema, innamorato della peculiarità del nostro territorio. Sempre più produzioni nazionali e internazionali decidono di girare i loro film qui da noi, attratte da quell’eccezionale mistura tra arte, storia, cultura, paesaggi e eccellenze eno-gastronomiche che hanno fatto del Veneto la regione più visitata d’Italia. La Veneto Film Commission, fondazione regionale che supporta lo scouting di chi voglia girare in Veneto, registra un’attività in crescita con ricadute notevoli sul territorio, dimostrando come la cinematografia sia anche volano di sviluppo economico”. Queste sono le parole del Presidente Zaia in una sua recente intervista di maggio 2023.

Come Azione Venezia sposiamo la proposta che proviene da molti operatori del settore e rilanciata dall’associazione  di categoria più rappresentativa del settore in Veneto, ovvero CNA cinema e audiovisivo, di costruzione di una Cittadella del Cinema, che parta dalla iniziativa degli enti locali più prossimi, Comune di Venezia e Regione Veneto,  insieme alle associazioni di categoria, e che veda in Porto Marghera la sua sede ideale,  per via della sua posizione strategica, della sua disponibilità di spazi e del suo necessario e urgente rilancio.

Un progetto serio e concreto che metta insieme studi di posa, centri noleggi audio e video, studi di post produzione ed effettistica, centri di produzione e di logistica, atelier di costumi e scenografie, casting e uffici di distribuzione, in cui le nostre aziende possano ampliare la propria offerta in maniera sinergica e in cui si possa fare formazione delle nuove leve di tecnici.

Con il Casanova, nel 2004 era già stato tentato un percorso simile, legato in particolare alla produzione. Purtroppo però quel percorso non ha avuto seguito e si è persa una grande occasione, anche di reinventarsi un’area vasta che ne ha così tanto bisogno, come Porto Marghera.

Luoghi vivi, da rendere attrattivi anche per i professionisti del settore di tutto il mondo, a partire da quelli del Nord Est. Una potenziale sede ad hoc di Cinecittà o una sede distaccata del Centro Sperimentale di Cinematografia, come già ce ne sono in Sicilia, in Piemonte, in Abruzzo, in Lombardia. Uno sportello Media di Europa Creativa, il fondo della Commissione Europea che gestisce ed eroga i fondi per la cultura e che offre corsi di formazione nelle sedi che già sono attive in Italia, tra cui Roma, Bari e Torino.

Non servirebbe a granché un piano mastodontico, unicamente ancorato alle finanze pubbliche, sarebbe utile invece fare perno sugli investimenti che in questi anni partiranno con il PNRR,  per attrarre e compattare ulteriori investimenti privati, fornendo servizi, infrastrutture, una strategia e una guida.

Lo ha fatto, con buoni risultati, Torino, che per noi può essere un esempio. A Venezia possiamo farlo ancora più in grande, ancora meglio. Con una prospettiva e una dimensione europea, internazionale. Collaborando con Biennale, che ospita programmi di altissima formazione quali Biennale College. Con un partner fondamentale che deve essere la Veneto Film Commission, da poco più di un anno operativa e che deve e può essere un attore centrale nella crescita del cinema veneto e del Nord Est.

Venezia ha bisogno di progetti innovativi e di stare al passo con i tempi. Come punto di riferimento per il Triveneto tutto, si può contribuire ad attrarre nuovi progetti, nuovi film e produzioni di vario genere, anche pubblicitarie e di nuovi media. Si possono creare posti di lavoro qualificati e unire gli sforzi dei nostri imprenditori, che senza una guida politica tendono a frammentarsi e di conseguenza essere meno forti quando si confrontano con altre regioni e con l’estero. Si può essere catalizzatori di ulteriori fondi europei dedicati nel medio e lungo periodo.

L’occasione offerta dai fondi PNRR è unica e non tornerà più, per cui diventa urgente un progetto che faccia crescere in modo sano e sostenibile tutto il sistema dell’audiovisivo veneto. Andiamo oltre le piccole beghe tra competitors, andiamo oltre una visione campanilistica e poco lungimirante, riprendiamo l’idea della Cittadella del Cinema, ferma da anni nei cassetti degli uffici e rendiamola, finalmente, una proposta concreta.

Venezio 26/07/2023

Antonella Garro – Segretaria Metropolitana Azione Venezia

Paolo Bonafè – Segretario Comunale Azione Venezia

Quale idea di città 

Che a Mestre la questione “degrado urbano” finisse per assumere i  contorni dell’emergenza sociale era intuibile già da tempo; tuttavia  fino ad ora non sono stati fatti grandi passi avanti per contenere il problema ed anzi si ha la sensazione che si stia progressivamente estendendo anche in altre aree della terraferma.

 

Eppure alcune considerazioni sul “cosa” si dovrebbe fare  sono  già state elaborate da tempo:  ad esempio, recuperare il senso della legalità e la percezione  della sicurezza dai cittadini attraverso un’azione più incisiva delle forze dell’ordine (che non è certamente la pseudo “militarizzazione”  cui si vorrebbero sottoporre alcuni quartieri) accompagnata da importanti  interventi di sostegno “sul campo” per i tossicodipendenti; accelerare  le  iniziative di  integrazione religiosa e sociale che  favoriscano lo sviluppo di nuove aggregazioni multietniche; avviare al più presto dei progetti di recupero del contesto ambientale  incentivando al contempo  lo  sviluppo di attività commerciali di quartiere (magari anche recuperando  professionalità artigiane ora scomparse).

 

Tuttavia, perché  a  questo “cosa” possano seguire, con successo, un “come ” ed un “quando”,  deve esser ben chiara a chi amministra quale sia “L’IDEA DI CITTA” a cui tendere, ovvero quale sia il modello condiviso  dello sviluppo socio economico ed  urbanistico di riferimento per i successivi i 15/20 anni

 

Ha fatto molto rumore in questi giorni la  contrapposizione tra Save e Comune di Venezia sulla questione della tassa d’imbarco; quanto accaduto è un perfetto esempio di come la strada  da percorrere per trovare obbiettivi comuni  sia  ancora molto lunga e resti alta la possibilità che si creino situazioni di stallo, già viste in passato (come per la localizzazione dell’Angelo, tanto  per andare un po’ indietro, ma non troppo, con la memoria)

 

Ne consegue una semplice riflessione: ma se un comune a forte vocazione turistica non riesce a trovare la quadra con i suoi Hub principali (porto ed aeroporto) su quali basi potrà progettare il proprio futuro?

 

AZIONE VENEZIA ritiene che sia giunto il momento di voltare pagina e propone alla città di avviare una  riflessione su almeno quattro temi fondamentali: Trasporti, Turismo, Integrazione sociale,  Rigenerazione urbana.

 

Il nostro invito, rivolto a Università, Fondazioni, Imprese del territorio, Mondo del lavoro e del sociale, Operatori Culturali,  alla  Stampa   – il filo diretto e quotidiano con i cittadini – è di aprire un grande dibattito attraverso iniziative, proposte, confronti per costruire insieme  l’idea della  “CITTA’  CHE VORREMMO”, con la consapevolezza del perché la vorremmo proprio  così  e uscendo una volta per tutte dalle incertezze di un modello di sviluppo che oggi si fa fatica a comprendere  quale sia.

 

Alla politica resterà poi l’onere di individuare i punti qualificanti su cui declinare i programmi  ed il  compito di realizzarli secondo il mandato ricevuto dai cittadini.

 

Chi accetterà di farsi coinvolgere, e mi rivolgo in primis ai cittadini e alle associazioni, dove l’appartenenza non è partitica ma rivolta alla soluzione concreta dei problemi, lo farà per senso civico, spirito di servizio ma soprattutto per amore per la città, diventando protagonista di una sfida verso il domani. Noi vorremmo fare da collante, proprio perché non abbiamo un approccio ideologico ma pragmatico ai problemi che affliggono la città nel suo insieme.

E poi, dato che stiamo parlando del futuro della nostra città, chi altri dovrebbe preoccuparsene se non la città stessa?

 

#ItaliaSulSerio

 

Paolo Bonafé Segretario Comunale Azione Venezia

 

Bruno Barbadoro Giacobelli – Azione Venezia – componente direzione comunale

 

Venezia 03/07/2023

Mai più una tragedia come quella di Cutro in Calabria

frontex
La drammatica vicenda del naufragio dell’imbarcazione “Summer Love” finita in pezzi contro uno spezzone di roccia sommersa a Cutro, in provincia di Crotone,  non può essere derubricata al semplice naufragio che ha visto la morte di decine di profughi, perché è una tragedia annunciata.
Alle 23.03 di sabato scorso,  Frontex ( Agenzia Europea della Guardia di Frontiera Costiera),  ha inviato a 27 indirizzi l’allarme che ha anticipato di 5 ore la tragedia .
I settanta morti, di cui 15 bambini  e i 40 dispersi potevano essere almeno salvati in parte se l’allarme non fosse  stato mal considerato.
Questi sono atti dell’inchiesta in corso e la giustizia farà chiarezza,  ma qui è l’atteggiamento che non si può più sopportare come italiani e persone che hanno una umanità,  perché non possiamo credere che chi ha votato questo governo,  ha anche votato questo modo di operare, queste nuove regole di ingaggio e questo atteggiamento che il governo con il ministro Piantedosi sta tenendo sulla vicenda.
La frase di giustificazione del premier sulla vicenda è inaccettabile perché da quando il governo si è insediato non ha fatto altro che minare le possibilità di salvataggio in mare da parte delle ONG,  definendo i porti di accoglienza sempre più distanti dal canale di Sicilia.
Alcuni parlamentari di maggioranza parlano di possibilità di informare chi è su queste imbarcazioni con telefonate, si mescola le tipologie di migranti facendo di tutto un erba e un fascio ….
Questi erano profughi di guerra e il sistema di accoglienza è disciplinato dal DLGS 142/2015 adottato in attuazione alle direttive europee 2913/32/EU e 2013/33/Eu e il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo come il riconoscimento dello status di rifugiato
Per questo dobbiamo mobilitarci tutti perché questi drammi non avvengano più e per farlo dobbiamo tutti dire chiaro al Governo che questi atteggiamenti, questi metodi inumani non li potranno compiere mai più IN MIO NOME !
Paolo Bonafè

Basta con i femminicidi / tre azioni da fare fin da subito 

Venezia 22/11/2022
Anche la giornata di ieri è stata funestata da un femminicidio, che riporta la drammaticità di questa “guerra” perpetrata nei confronti delle donne, da una parte della popolazione maschile legata ad antiche logiche di disuguaglianza sociale e di donna oggetto, di idea di possesso dove se non puoi essere posseduta allora devi essere distrutta, gettata.  Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3. In Italia i dati Istat ( del 2020, ma visto quello che succede non penso diversi per il 2022) mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici, quindi la cerchia più intima. Sempre Istat 2020 ci dice che 6 milioni e 788 mila donne hanno subìto, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, che il 20,2% (pari a 4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, che il 21% (pari a 4 milioni 520 mila) violenza sessuale e il 5,4% (pari a 1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Questi dati sono sconvolgenti.  Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). Per fermare tutto ciò si devono fare tre azioni concrete: la prima è quella di favorire l’indipendenza economica delle donne, perché è la base di scelte consapevoli e autonome e qui la politica è ancora lontana da mettere in campo politiche di uguaglianza salariale, visto che le donne mediamente percepiscono uno stipendio più basso degli uomini; la seconda di rimettere mano alle strutture sociali, a quella costellazione di sostegni territoriali alle famiglie (soprattutto in presenza di bambini) che nei due anni della pandemia hanno rivelato essere fragili se non assenti ( il boom delle violenze casalinghe e dei divorzi si sono evidenziati nel look down) e la terza, la più difficile da estirpare, è quella di combattere insieme contro i pregiudizi inconsapevoli, quelli che continuano a muoversi nell’oscurità del corpo sociale e dei nostri corpi individuali, quelli che influenzano le nostre aspettative di genere e vanno poi a modellare le abitudini, le (cattive) pratiche, le istituzioni. Sono più potenti degli stereotipi, dei quali abbiamo almeno imparato a dibattere.
Paolo Bonafè

Perché plaudo alla creazione della Fondazione di Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità

2022-03-31 Gente veneta - Venezia 5 punti per la sostenibilità 2

La costituzione della Fondazione di Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità e l’assegnazione della presidenza al Ministro Brunetta, è una sfida per le molteplici associazioni ed enti che vi operano, per dare una svolta al futuro di questa nostra città. Venezia ha bisogno di ricostruire una base economica compatibile con le proprie peculiarità e dopo la pandemia che l’ha messa in ginocchio, di ricostruire un tessuto produttivo economico e sociale. Bisogna superare l’idea del sussidio e della monocultura turistica e puntare su una nuova resilienza, così come enuncia il suo presidente. L’equilibro che si deve trovare è quello tra una popolazione che di fatto è la comunità urbana, che vede un continuo spopolamento, la salvaguardia ambientale e le nuove tecnologie. Come è stato detto: Venezia deve divenire “la più antica città del futuro, un modello per il mondo” : acqua, verde, tecnologia e cultura in un mix vincente. Innanzi tutto bisogna mettere in rete i luoghi di pensiero della città, le sue fondazioni, gli enti, l’università e le associazioni che da anni si battono per il suo rilancio. Mi piace la frase: “ proporre pensieri mai pensati per mostrare al mondo che il miracolo veneziano continuerà”, combinando gli obiettivi di salvaguardia dell’urbis, con quelli di rivitalizzazione della civitas. Quindi il polo dell’idrogeno e delle energie alternative sono uno dei primi punti da sostenere con le risorse che arriveranno a sostenere la fondazione. Pensare ad una città green dove circolano solo mezzi ibridi od elettrici non è più utopia. La creazione di un polo di riferimento mondiale per il dibattito scientifico e culturale, concentrando obbiettivi e potenzialità presenti, costituendo nuovi soggetti divulgatori è il secondo punto. Un piano per il rilancio delle attività produttive direzionali, nazionali ed internazionali è il terzo. Il quarto dovrà essere quello di un piano per il rilancio del commercio e della residenzialità, per bloccare l’esodo di persone e delle attività produttive ed ultimo punto dovrà essere la creazione di un polo della ricerca e delle eccellenze, dove le aziende possano attingere per crescere e svilupparsi.

Sono certamente grandi ambizioni per la città e per la Regione Veneto, ma Venezia e i veneziani meritano di poter vivere un grande sogno, lo dobbiamo a chi ama Venezia e alle nuove generazioni!

Paolo Bonafè

Laboratorio Venezia

Partiti, vita democratica e limitazioni della privacy 

Uno dei temi di maggiore discussione nella vita democratica all’interno dei partiti e’ quello legato alla legge sulla privacy.

Ovvero quanto,  in che modo e come, posso coinvolgere gli iscritti nella normale interlocuzione tra di loro e tra di loro e il partito.

Oramai whatsapp ha soppiantato le mail, ed è uno strumento rapido,  che arriva direttamente nella vita di coloro di noi che sono  sempre connessi.

il Garante per la privacy ha ben delineato  le regole e in che modo e in che forma  si possono utilizzare i dati personali degli iscritti:  sia in occasione delle votazioni, sia in merito alla circolazione e alla diffusione di progetti, idee, programmi, tra iscritti di un partito ,

Purtroppo vi è ancora qualcuno che usa tale legge sulla  privacy come grimaldello per discriminare e limitare  la libera circolazione del pensiero tra iscritti

Sono fortunatamente pochi, ma purtroppo molto attivi.

Sono persone che non concepiscono tale forma democratica di comunicazione come un valore, ma come uno svantaggio, e hanno forza della loro azione  soprattutto in quei partiti meno democratici (ovvero dove  i vertici sono cooptati e non eletti)  o in evoluzione e/o  costituzione,.

Sono persone che usano la legge sulla Privacy e sulla diffusione dei dati personali, più come un bavaglio che una forma di rispetto di regole civili.

Come che chi si iscrivesse ad un partito, non sapesse che si iscrive in un contenitore/ associazione,  dove diventa naturale la trasmissione di proposte e pensieri,

Dove la normale dialettica rientra nella vita dello stesso partito o movimento,  nelle sue dinamiche e, alle volte anche nelle logiche contrapposizioni di pensiero .

Dove la dialettica è linfa di crescita di un Partito!

Normalmente i partiti di dotano di regole interne al partito stesso,  ovvero di statuti e regolamenti, che a loro  volta devono però essere rispettosi delle norme generali, che possiamo chiamare più in generale regole del gioco democratico,

Questo vale ancora di più in occasione  di competizione elettorale interna tra gli iscritti, come possono essere  i congressi di partito, dato che gli elettori sono gli stessi iscritti, i quali per poter votare bene , devono essere il più possibile informati ed edotti delle regole del gioco, di chi sono i competitor in campo, delle mozioni/programmi che i candidati presentano e io direi dovrebbero essere ben informati di chi sono gli altri , ovvero chi sono i sostenitori di una e dell’altra mozione.

Questa è DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Poi vi è un ragionamento da fare su cosa intendiamo per libera partecipazione alla vita politica

Innanzitutto l’art. 2 della Costituzione che cita: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale

Cosa significa? Che la Costituzione stabilisce con questo articolo l’esistenza di diritti che in nessun caso possono essere negati da persone ed istituzioni, ossia diritti di cui un uomo gode in quanto uomo e donna ( il diritto di vivere, di parlare, di procreare etc). Tali diritti non sono annullati dal fatto che l’uomo partecipa ad associazioni o partiti.

Inoltre questo articolo sancisce l’importante principio del pluralismo, attribuendo al singolo una posizione di gran rilievo anche all’interno delle formazioni sociali, considerate luogo importante per lo svolgimento della sua personalità.

Poi vi è l’art. 18 Costituzione che riconosce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente senza previa autorizzazione e l’art. 49 Costituzione , che, nel ribadire il diritto del singolo di associarsi liberamente, ne specifica la portata all’interno della formazione-partito.

Quest’ultima norma fornisce una serie di parole chiave, utili alla comprensione dell’oggetto del presente testo: e cioè “concorso”, “metodo democratico” e “determinazione della politica nazionale”.

Tali termini sono adoperati dal Costituente al fine di definire quale “concorso” porti alla fondamentale partecipazione dei cittadini, quale “metodo democratico” sia il limite e il modus operandi dell’associazione partitica ed, infine, indicando con “determinazione della politica nazionale” il fine della stessa.

La disposizione costituzionale non stabilisce, al di là del metodo democratico, limiti ulteriori all’associazionismo in partiti, interessandosi per di più di gettare le basi della “democrazia pluralista”, aperta, cioè, a tutte le forze politiche purché non violente.

In tal modo il sistema partitico ha potuto godere di un’ampia libertà, che tuttavia ha finito per “tradire” lo stesso spirito della Costituzione nel momento in cui quella libertà è stata piegata alla realizzazione di una “democrazia dei partiti”, anziché di una “democrazia mediante i partiti” .

La soluzione della questione democratica è suggerita già dal Costituente, che nel «metodo democratico» individua il fondamento della tutela del cittadino in tutte le vicende che lo coinvolgono in rapporto al partito – si tratta di una partecipazione “statica”- come l’ammissione, l’espulsione, le dimissioni, i provvedimenti disciplinari e quelli sanzionatori, ma anche “dinamica” nella partecipazione alla vita stessa del partito.

Ovvero Il metodo democratico costituisce altresì la copertura costituzionale di quegli istituti funzionali alla partecipazione, per così dire, “dinamica” del cittadino all’interno della formazione partitica.

Si tratta, in sostanza, della possibilità di determinare il programma e le scelte del partito e di selezionare i candidati alle elezioni. L’insieme delle facoltà concernenti la partecipazione statica e dinamica del cittadino al partito si sintetizzano nella più generale “funzione democratica”, che può considerarsi soddisfatta se i partiti conservano la loro caratteristica di organismi rappresentativi e mediativi, ossia che «nascono a livello della società civile e sfociano a livello statale»

I partiti in Italia, da un lato, si configurano come associazioni private non riconosciute, e come tali soggette alla disciplina degli artt. 36 ss. del cc., dall’altro, essi svolgono funzioni aventi rilevanza pubblicistica poiché si occupano dell’organizzazione del corpo elettorale e della selezione dei candidati. Pertanto, al fine di chiarire questi aspetti bisogna interrogarsi innanzitutto sulla configurazione giuridica della formazione partitica nel nostro sistema e sulla sua posizione in rapporto alla forma di governo.

La posizione del partito all’interno del sistema è, d’altronde, fondamentale per comprendere come si struttura la forma di governo in un determinato ordinamento, e al di là delle teorie sulla forma di governo che ne hanno fatto la storia il Costituente italiano ha scelto una soluzione intermedia – legalisierung – per consentire «la maggiore espansione della libertà di associazione in partiti», rigettando sia la soluzione scelta dalla Costituzione francese del 1946 – ignorierung – sia quella scelta dalla Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca nel 1948 – inkorporation .

Allora ci si chiede se è una democrazia di qualità quella in cui non è lasciato spazio alla libera manifestazione di idee che siano non contrarie alla democrazia stessa.

Una democrazia dovrebbe essere tale proprio nella misura in cui lo permetta. Si comprende, allora, come la questione della “qualità della democrazia” sia intimamente legata all’organizzazione interna dei partiti: da qui ci si chiede se sia necessaria una regolazione che si renda terza rispetto agli statuti e che miri, in questo caso, alla soluzione della disputa, in assenza di indicazioni da parte della Costituzione, indipendentemente dalla natura giuridica e dalla posizione nella forma di governo che si intende assegnare al partito.

Ovvero un partito è veramente democratico se si riesce a dare una configurazione certa e coerente all’organizzazione politica «mediante la predisposizione di regole e meccanismi interni idonei a garantire la possibilità e qualità della partecipazione» di tutti i soggetti che di quel partito vogliono essere classe dirigente.

In questi termini si pone la “questione democratica” relativa alla disciplina dei partiti: non c’è democrazia senza partiti, poiché «la qualità dei partiti incide sulla qualità della democrazia» Ma una disciplina sui partiti sarebbe legittima costituzionalmente? Che contenuto dovrebbe avere? Quale discrezionalità residuerebbe ai partiti? Che rapporto ci sarebbe tra regolamentazione della democrazia interna e (“ristretta”) democrazia protetta all’italiana?

Il problema allora si pone nei seguenti termini: come realizzare concretamente la declinazione interna di «metodo democratico» nelle organizzazioni partitiche?

Quest’operazione dovrebbe considerare sia le teorie sulla natura giuridica del partito sia le peculiarità del sistema politico italiano. Inoltre, al fine di rendere il partito un rinnovato strumento di democrazia e di partecipazione sarebbe necessario stabilire una serie di regole che consentano ai cittadini di esercitare la sovranità concretamente, rendendosi attori delle scelte che li riguardano.

Naturalmente, ciò è possibile nella misura in cui i partiti non vengano svuotati del tutto della loro discrezionalità minima. Sotto questo aspetto, appunto, ci si chiede se per fare ciò sia sufficiente il solo rispetto dei principi democratici sanciti in Costituzione, oppure sia necessario delineare un modello di partito, attraverso la previsione di uno statuto-tipo, che enuclei le caratteristiche principali di un partito rispettoso del metodo democratico. Indipendentemente dalla soluzione pratica che si intende adottare è necessario comunque che un minimo di garanzia dei fondamenti democratici sia sostenuta attraverso delle regole che sanciscano la necessaria osservanza dei valori dello stato di democrazia pluralista. D’altro canto, l’evoluzione dei partiti è strettamente collegata allo sviluppo della democrazia, rispetto alla quale il partito ha avuto sia una funzione

I partiti italiani, nella Costituzione italiana, hanno ampliato sempre più la partecipazione popolare, sia in funzione qualitativa, perché si è preoccupato di «approfondire la coscienza democratica dei partecipanti». Il contributo partitico non è servito, tuttavia, a migliorare la qualità democratica del partito, almeno in alcuni momenti fondamentali della sua vita, come quello dell’ammissione e delle dimissioni dal partito, dell’uguaglianza, della libera espressione, delle decisioni programmatiche e della scelta dei candidati alle cariche elettive, dei congressi 

La democraticità interna ai partiti, pertanto, è sintomatica della democraticità dell’ordinamento statale nel suo complesso. D’altronde Moro, Mortati e Calamandrei affermarono proprio ciò in Assemblea Costituente, ossia che un partito che non sia democratico al suo interno non potrebbe fungere da ingranaggio democratico in un ordinamento costituzionale.

Pertanto, ha ancora senso discutere di “metodo democratico” all’interno dei partitise non permettiamo la libera circolazione di idee tra iscritti, pertanto prevista dalla legge sulla privacy?

In tutto quanto premesso non è lecito che chiunque si presenti alla competizione elettorale interna possa esprimere le proprie idee e il proprio pensiero alla platea elettorale degli iscritti, fermo restando che all’atto dell’iscrizione ogni iscritto formula una liberatoria non verso il singolo ma verso l’organizzazione del partito?

Ecco questa è la questione cardine, ovvero l’uso dei dati di aderenti e cittadini che hanno contatti regolari con i partiti

Il Garante per la privacy scrive che: l’uso dei dati personali per Partiti, movimenti, comitati per le “primarie” e’ autorizzato  senza consenso se i dati di aderenti o di cittadini (con cui intrattengono contatti regolari) vengano utilizzati per scopi individuati nello statuto o nell´atto costitutivo. Serve invece il consenso scritto per comunicare i dati all´esterno (ad. es., ad altri partiti appartenenti alla stessa coalizione) o per diffonderli. La stessa regola vale per i comitati di promotori o sostenitori che devono avere il consenso degli aderenti per comunicare i dati a terzi.

Quindi, se in piena libertà io cittadino mi iscrivo ad un partito, poi ho veramente necessità di tutelare la mia privacy che di fatto mi esclude dal  circuito delle informazioni e comunicazioni,  oppure ho interesse di partecipare alla vita attiva di quel partito? 

Per me la risposta è ovvia!

no perché altrimenti sarei escluso dalla vita di quel partito e chi mi vuol escludere mi crea un danno

LA FAMIGLIA

La famiglia, intesa come primo nucleo di relazioni significative, non è solo una dimensione privata, è una risorsa vitale per l’intera collettività poichè le molteplici funzioni da essa svolte la collocano a pieno titolo come soggetto di valenza pubblica che genera valore per l’intera società.

Pertanto la famiglia viene riconosciuta come sistema complesso che svolge funzioni fondanti per la società.

Ad una concezione di famiglia, considerata come sistema, necessariamente corrisponde una vision che non confonde le politiche famigliari con le politiche sociali, ma si richiami alle politiche di sistema. Assumendo questo quadro di riferimento, parlare di politiche per la famiglia significa raccogliere la sfida di catalizzare l’attenzione di tutti gli operatori del territorio, aggegando attori e risorse che condividano l’obbiettivo di accrescere il benessere sociale, producendo un circuito virtuoso in grado di generare nuove risorse sia economiche che sociali. Perché le politiche famigliari sono soprattutto politiche di sviluppo sociale ed economico del territorio e ne aumentano l’attrattività.

Si tratta di spostare l’asse culturale che ha caratterizzato l’approccio alla famiglia, concepita come mera destinataria di interventi (concezione legata al welfare state), ad un nuovo approccio che vede la famiglia , soggetto competente, promotore di benessere e coesione sociale.

Il Piano Nazionale per la Famiglia, approvato il  7 giugno 2014, delinea le direttrici di intervento nell’ambito di un welfare definito come sostenibile e abilitante. In questo scenario la famiglia è considerata soggetto sociale su cui investire per il futuro del Paese, in termini di valorizzazione delle sue funzioni di coesione sociale ed equità fra le generazioni. Il paino nello specifico, individua , tra i propri principi ispiratori, “quello di promuovere un welfare familiare che sia compatibile con le esigenze di sviluppo del Paese, il quale richiede politiche di capacitazione (empowerment) delle famiglie anziché di mero assistenzialismo. Occorre muovere passi decisi verso un welfare abilitante, che incida sulle capacità di vita dei portatori di bisogni facendo leva proprio sulla capacità di iniziativa sociale ed economica delle famiglie. Tutto ciò richiede interventi che generino, anziché consumare capitale sociale”.

Il Piano Nazionale introduce, finalmente anche in Italia, il modello delle Alleanze Locali per la Famiglia il cui obbiettivo è di “sostenere la diffusa attivazione di reti locali, costituite dalle forze sociali, economiche e culturali che, in accordo con le istituzioni, promuovano nuove iniziative di politiche family friendly nelle comunità locali,. Il criterio fondamentale che guida questo nuovo scenario è il passaggio da una politica della spesa che promette sempre nuovi benefici agli elettori, ad una politica di orientamenti all’impegno che impegna tutti gli stakeholders verso la meta di una società amica della famiglia e cerca la collaborazione di tutte le istituzioni e i soggetti coinvolti”

Le esperienze dei Paesi del Nord Europa, nella progettazione delle politiche di sviluppo territoriale, hanno dimostrato l’efficacia di ribaltare l’ottica che individua come soggetto destinatario degli interventi il cittadino-individuo e lo sostituisce con un attore complesso e dinamico, rappresentato dalla famiglia.

La Commissione Europea, per valorizzare queste esperienze, istituisce la piattaforma della “Alleanza Europea per la Famiglia”, indicando come modello di riferimento, per la progettazione delle politiche locali degli Stati Membri, proprio quello tedesco delle Alleanze Locali.

Progettare secondo questo modello, significa adottare la nuova definizione di cittadino: la visione dinamica del destinatario finale delle politiche locali, presuppone una progettazione omnicomprensiva, trasversale, a cui partecipano in modo integrato tutti i soggetti competenti.

La valorizzazione, in fase di progettazione, di tutte le competenze presenti in un territorio, garantisce l’efficienza del progetto, abbassando sia i costi di ideazione, sia quelli indiretti derivanti da sprechi e bassa funzionalità dei risultati.

Il Comune di Venezia è chiamato a rispondere a questo modello attraverso la definizione di sovrastrutturale di politiche integrate per la promozione della famiglia, della natalità e della qualità del vivere urbano, caratterizzando la nostra città come un distretto culturale e operativo di concreta politica famigliare.

Va aperta una nuova stagione di dialogo e cooperazione tra interlocutori strategici del sistema – attori pubblici, privati e sociali – per elaborare una dimensione programmatoria, capace di sviluppare un approccio unitario alla Città di Venezia – Mestre, come luogo abitato e vissuto dalle famiglie

Si tratta di avviare una coprogettazione organica fra politiche abitative, urbanistiche, ambientali, sociali, culturali e di sviluppo economico – turistico, all’interno di un processo che deve favorire tutte le condizioni per la partecipazione e per il protagonismo delle famiglie veneziane

Dall’Università di Bologna una campagna contro lo spreco del cibo.

spreco ciboPatrocinata dal Parlamento Europeo e promossa da Last Minute Marking, parte la Campagna “Un anno contro lo spreco”, ideata dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, che persegue l’obiettivo di promuovere le buone prassi in grado di contrastare lo spreco alimentare.

Risulta sicuramente paradossale che, in piena crisi economica, ogni giorno gli italiani gettino nella spazzatura quattromila tonnellate di cibo. Si tratta di un dato che ci accomuna agli stili di vita di altri paesi occidentali: se, per media statistica, una famiglia italiana spreca il 12% degli alimenti acquistati, una svedese si assesta sul 25% e quella americana raggiunge il 40%.

spreco cibo - aranceLo spreco non è riferibile ai soli comportamenti privati, ma riguarda complessivamente una distorsione del sistema di mercato, che investe tutta la filiera alimentare dalla produzione, alla distribuzione, fino al consumo. In questi anni, per invertire il trend, si sono sviluppate pratiche innovative che, da attività di nicchia, si stanno gradualmente diffondendo. Esperienza significativa e consolidata è quella della Fondazione Banco Alimentare che, da anni, recupera eccedenze alimentari  e prodotti prossimi alla scadenza,  per dirottarli alle reti assistenziali. Su questa direttrice si stanno attivando anche gli Enti Pubblici ,attraverso il recupero e la redistribuzione dei pasti non consumati nelle mense di asili, scuole e ospedali. La Campagna ideata dall’Università, dimostrando che lo smaltimento del cibo, finito  fra i rifiuti, non produce solo spreco di risorse, ma anche danni ambientali, vuole incentivare nuove progettazioni e diffondere comportamenti virtuosi,

Paolo Bonafè – Presidente Laboratorio Venezia