Di crisi si muore

Si moltiplicano sulla stampa le drammatiche notizie di  imprenditori e lavoratori che si suicidano  per il rischio di fallimento della propria azienda o per la perdita del posto di lavoro.

Nella sola area del nord-est, un tempo conosciuta come zona del miracolo economico, 1198 aziende, nel 2009, hanno aperto formalmente le procedure di crisi, coinvolgendo 31.000 dipendenti; il Pil pro capite, in due anni, ha subito un calo del 7,6%; la disoccupazione è salita al 4,8% e 237.000 sono le persone ufficialmente alla ricerca di lavoro.

In questo tessuto sociale, attraversato da una crisi economica senza precedenti, nell’ultimo anno, si sono tolti la vita 14 imprenditori e 7 lavoratori. Le cronache riportano biografie, su cui è delicato indagare, perché significherebbe entrare in scelte personali e drammatiche, che lacerano reti familiari e interrogano profondamente le  comunità di appartenenza. Ma queste vicende danno riscontro della profonda solitudine, in cui  le persone maturano scelte così estreme, come segno di un pesante fallimento personale. E’ come se l’individualismo del nostro vivere quotidiano, non permettesse di pensare che, nei luoghi preposti – le associazioni datoriali e di categoria, i sindacati – sia possibile  trovare uno spazio di confronto e una rete di protezione, per affrontare  la  situazione di emergenza. Per questo, va individuato e creato un tavolo permanente di dialogo,  per individuare strategie e trovare risposte  efficaci. L’uscita dalla crisi è un percorso multilivello che, coinvolgendo una pluralità di responsabilità e di attori, può trovare soluzioni condivise, attraverso le facilitazioni di accesso al credito, la formazione e l’innovazione.

Paolo Bonafè Presidente www.LaboratorioVenezia.it