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VENEZIA: la necessità di riprogettare l’economia della città.

I molteplici processi di ristrutturazione, hanno già causato l’allontanamento da Venezia di molte aziende, con il seguente cambiamento della struttura produttiva della città, che ha influito sulle stesse trasformazioni antropologiche e socio-economiche, che ben conosciamo.
In questo contesto, si è sviluppato il solo settore turistico che, seppure fonte di ricchezza ed occupazione, dominando il mercato in una logica di mono-economia, ha comportato un impatto deflagrante sul tessuto cittadino: lo sviluppo turistico, non armonizzato, ha comportato il lievitare dei costi della vita quotidiana e ha drogato il mercato della casa. In questo settore, l’esplosione della formula del B&B, strutture alberghiere di piccole dimensioni a gestione domestica, ha sottratto al mercato dei residenti anche gli appartamenti di piccole-medie dimensioni.
Ogni anno, l’ipotesi di introduzione di forme di regolazione dei flussi turistici, occupa una settimana del dibattito cittadino, per poi essere archiviata, perché comporterebbe strumenti di complessa gestione.
Ma intervenire a favore della città e dei suoi cittadini, significa anche uscire dalla logica della mono – economia turistica, nella consapevolezza che, per ogni azienda che lascia, Venezia diviene sempre più povera, non solo dal punto di vista economico, ma anche perché devitalizzata nel suo tessuto cittadino.
In questo senso, va messo al centro dell’attenzione politica e imprenditoriale il ruolo cruciale dell’attività portuale, che impiega, direttamente od indirettamente, circa 18.000 lavoratori: il Porto di Venezia può essere strategicamente il polo da cui ripartire, per riprogettare l’economia della città.

Paolo Bonafe
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Come fermare le troppe morti bianche causate da incidenti sul lavoro

Il tema della sicurezza nei posti di lavoro è drammaticamente tornato alla ribalta: nel 2006 le morti per infortunio sono state 1320, con un aumento del 2,2% rispetto al 2005. I primi sette mesi del 2007, con le 719 vittime, mettono in luce un ulteriore incremento dell’1,7%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Pur nella loro aridità, i numeri servono a porre al centro dell’attenzione di tutti un fenomeno, cui anche la nostra provincia ha pagato il proprio tributo di sangue e di dolore, che va ad ascriversi in un contesto in cui la dimensione della precarietà, dell’illegalità, del non rispetto delle normative, sta attraversando troppi luoghi di lavoro. Il settore maggiormente colpito è sicuramente quello dell’edilizia, nel quale sono anni che i sindacati denunciano il sistema dei sub-appalti e l'assenza dell'impresa nei cantieri, sostituita da forme di “caporalato”: ciò significa scarsa professionalità, lavoro nero e sfruttamento. L’ANMIL (l'associazione mutilati e invalidi sul lavoro), si sta battendo da anni nel sollecitare una modifica della attuale legislazione e interventi sulle cause conclamate di incidenti: innanzi tutto diventano indispensabili la collaborazione e l’accordo tra le parti sindacali e datoriali, ma anche una nuova legge sul lavoro. Già nel 2006 il Ministro Damiano aveva annunciato l'apertura ufficiale del tavolo sul lavoro nero con le parti sociali, proponendo la creazione di un “testo unico sulla sicurezza sul lavoro” che doveva vedere già la luce entro il 2006.
Nei cantieri e nei capannoni delle fabbriche del nostro paese si paga tutti i giorni un prezzo salatissimo e nello stesso tempo evitabile. Per questo vanno accolte le parole del Presidente Napolitano che invita ad “..un costante livello di attenzione e un forte impegno civile al fine di diffondere la più ampia consapevolezza della gravità del fenomeno e di promuovere una comune, operante cultura della sicurezza”.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Venezia: la necessità di mantenere forte il legame tra la città e il suo porto.

A Venezia è continua fonte di dibattito la diversa opinione circa l’opportunità di mantenere l’attività portuale nella città storica.
Quale rappresentante di una parte di lavoratori, che operano nel settore marittimo, ritengo utile porre sul tavolo della discussione alcune considerazioni, quali ulteriore contributo, per favorire una maggiore conoscenza del tema.
Desidero ricordare, innanzi tutto, come Venezia abbia perduto negli anni importanti aziende che hanno trasferito sedi e personale in terraferma, non solo a causa di trasformazioni aziendali, ma soprattutto per i maggiori costi gestionali legati alla logistica e ai trasporti. Questo esodo ha comportato una sommersa crisi economico-occupazionale che solo in parte ha potuto essere riassorbita dal settore turistico o dalle aziende ex municipalizzate.

Siamo consapevoli che i cambiamenti della struttura produttiva hanno avuto ricadute sul tessuto sociale e sull’economia della città (esodo, mercato della casa, rete commerciale), pertanto se partiamo dal presupposto che ogni azienda che lascia Venezia, rende la città più povera sotto il profilo sociale ed economico, dobbiamo riflettere se ci si può permettere di perdere una attività, come quella portuale, che dà lavoro, direttamente od indirettamente, a circa 18.000 lavoratori.
Per questo ritengo di avanzare alcune considerazioni alle argomentazioni poste in opposizione al traffico navale; soprattutto verso quelle che sono legate alla sicurezza e al controllo delle navi, ai pericoli che queste possono arrecare alla città e al problema del moto ondoso.

Per quanto concerne la sicurezza è giusto sapere che la Capitaneria di Porto, ora Guardia Costiera, ha effettuato in questi ultimi tre anni, su navi che toccano il Porto di Venezia, ben 455 controlli legati al PORT STATE CONTROL, strumento che sottopone a verifica le navi straniere che scalano i porti italiani, per accertarne la conformità alle norme internazionali in materia di sicurezza della navigazione ed anti-inquinamento, nonché alle norme nazionali applicabili. Esso mira a contrastare il fenomeno delle navi ”sub – standard”, che costituiscono un pericolo per le persone imbarcate, per l’ambiente e per la sicurezza dei traffici marittimi. In generale le navi sono catalogate secondo un profilo di rischio generato da un database informatico europeo, nel quale confluiscono i dati di tutti gli ispettori PSC dei paesi membri. Il numero di queste ispezioni ammonta a circa 20.000 l’anno e nella sola Italia, nel 2004, ne sono state effettuate 2385, grazie al lavoro di 140
Ispettori PSC. Per quanto concerne le navi battenti bandiera italiana, i controlli vengono effettuati annualmente e anche i sindacati sono coinvolti nella visita ai servizi di bordo e in quella tecnico- sanitaria.

Per quanto concerne il pericolo che le navi possono arrecare alla città, voglio ricordare l’episodio, avvenuto lo scorso anno, dell’arenameto alla M/N “MONA LISA”: dall’indagine è emerso che, a provocare l’incidente, fu un concatenarsi di cause quali la nebbia, una errata manovra ed un mancato uso dei rimorchiatori (che vengono utilizzati a discrezione dell’armatore). Vista la ridotta velocità in bacino, pari ai circa 6 nodi, era impossibile che la nave potesse andare ad urtare le rive di San Marco, data l’esistenza di una basso fondale fangoso (unghia), che arriva fino ai lati del canale di navigazione e, l’avvenuto arenamento, ne è conferma.

Per una maggiore sicurezza si può intervenire sul legislatore e su chi è chiamato a garantire il rispetto delle regole, operando perché le navi possano entrare solo in condizioni di alta marea e assenza di nebbia e, se hanno un tonnellaggio superiore alle 3000 tonnellate, siano obbligate all’uso di uno o due rimorchiatori. La velocità consentita dovrebbe poi essere ridotta a quella di governo nave.
Per quanto concerne il problema moto ondoso, ci si può attenere alle formule matematiche in uso alle migliori “vasche navali” del mondo, che evidenziano quanto il moto ondoso sia legato alla ampiezza e profondità del tratto di mare attraversato, al dislocamento nave e alla velocità di spostamento sull’acqua. Quindi, aumentando la sezione di un canale, con l’aumento della sua profondità, diminuisce la velocità dei flussi (inclusi quelli di marea) a beneficio delle sponde e della migliore distribuzione dell’ acqua. Ne risulta che, considerando il Canale di S. Marco, largo circa 200 mt (in rapporto ai 30 mt. massimi di una grande nave), abbiamo un moto ondoso ininfluente. Anche nel Canale S.Andrea diviene importante il rapporto tra l’immersione della nave e la profondità del canale; per questo l’Autorità Portuale richiede da tempo che la profondità sia riportata dagli attuali 9 mt, agli 11, eliminando ogni cunetta, come già previsto dalle cartografie del 1938. Tale intervento è previsto e collegato al D.P.C. del 3/12/2004, che decreta la stato di emergenza socio-economico-ambientale relativo ai canali portuali veneziani, a cui ha fatto seguito l’Ordinanza PCM n.3383, che ha nominato il Commissario all’escavo dei canali e alla depurazioni dei Fanghi e delle Acque, che si unisce al progetto integrato Fusina.

Il Segretario Regionale
FEDERMAR/CISAL
Paolo Bonafè