Archivi categoria: Carcere e marginalità

Azione Venezia: «La denuncia di A. e B. ci chiamano a responsabilità. Le strade di Mestre non possono essere zone franche»

«Il drammatico racconto di due giovani donne che vivono in strada a Mestre, pubblicato in queste ore dalla stampa locale, è un pugno nello stomaco e non può lasciarci indifferenti» – dichiarano Paolo Bonafè, segretario comunale di Azione Venezia, e Gennaro Marotta, delegato per Mestre e la Terraferma.

 

«A. e B. non sono solo vittime del degrado, sono testimoni dirette del fallimento di un sistema di accoglienza, prevenzione e tutela che oggi a Mestre semplicemente non esiste. Le loro parole ci parlano di paura, solitudine, violenza. Ma anche di un tessuto urbano che si è lacerato nel silenzio e nell’indifferenza delle istituzioni».

 

«È inaccettabile che una parte del centro di Mestre – proseguono Bonafè e Marotta – sia diventata un luogo in cui la criminalità ha stabilito regole proprie, dove la tratta, lo spaccio e lo sfruttamento trovano spazio anche nei vuoti della burocrazia e della politica. Chi vive in strada, chi convive con la dipendenza, ha bisogno di aiuto, non di essere abbandonato o criminalizzato».

 

Azione Venezia chiede con forza un cambio di rotta: «Servono strutture a bassa soglia realmente accessibili, un sistema di accoglienza stabile e non solo emergenziale, una task force sociale che lavori fianco a fianco con le forze dell’ordine. Chi è in difficoltà ha diritto a sicurezza, ma anche a dignità e ascolto. E la comunità ha diritto a vivere in quartieri sicuri e inclusivi».

 

«Il Comune non può più limitarsi a chiudere cancelli – concludono –. Serve una visione complessiva, serve investire in rigenerazione urbana, politiche sociali e sicurezza integrata. Perché Mestre non diventi mai più il simbolo dell’abbandono istituzionale».

 

Firmato:

Ex Telecom e Teatro Momo: basta soluzioni-tampone. Serve una strategia vera di sicurezza urbana e rigenerazione

 

Azione Venezia interviene sullo stato di degrado crescente in alcune zone di Mestre, a partire dall’area dell’ex Telecom e del Teatro Momo, al centro di gravi episodi di violenza e di occupazioni abusive.

 

«Siamo vicini alle cittadine e ai cittadini che ogni giorno vivono nel disagio e nell’insicurezza – dichiarano Paolo Bonafè, segretario comunale di Azione, e Gennaro Marotta, delegato per Mestre e la terraferma –. Ciò che sta accadendo attorno all’ex Telecom è il risultato di anni di immobilismo e di mancanza di visione. Le grate divelte dopo poche ore, i presidi annunciati e mai attivati, gli interventi spot non bastano più. Serve una strategia urbana seria, fatta di prevenzione, rigenerazione e sicurezza costante».

 

Azione Venezia sostiene il presidio fisso delle forze dell’ordine come primo passo, ma lo ritiene insufficiente se non accompagnato da un progetto strutturale di recupero dell’area, da un’alleanza tra Comune, proprietà e forze sociali, e da servizi di prossimità reali.

 

«Non si può più aspettare. Il Comune ha il dovere di trasformare le parole in progetti concreti. Riqualificare non significa solo costruire alberghi o nuovi residenziali, ma restituire spazi pubblici vivi e sicuri alla collettività. Mestre ha bisogno di una politica che tenga insieme decoro, inclusione, legalità e rigenerazione urbana».

 

Azione Venezia ringrazia i cittadini e le realtà che in questi giorni stanno facendo sentire la loro voce con sit-in e proposte alternative. «Serve ascolto – concludono Bonafè e Marotta – ma serve anche una classe dirigente capace di agire con responsabilità. Se non ora, quando?»

 

Firmato:

Paolo Bonafè – Segretario comunale Azione Venezia

Gennaro Marotta – Delegato Azione per Mestre e Terraferma

 

Pianeta carcere: pena e riabilitazione.

L’art. 27 della Costituzione sancisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: si tratta di un  principio fondante dell’ordinamento che richiama il Paese a  promuovere  la riabilitazione di chi ha infranto la legge e, nel contempo, a garantire la società attraverso il reinserimento sociale di persone rieducate e, pertanto, a basso rischio di recidiva.

I segnali di allarme che provengono dai direttori e dai cappellani degli istituti di pena  italiani e dal mondo del volontariato, evidenziano una situazione drammatica: sono 63.661  le persone recluse a fronte di una capienza di circa  43.327 posti,  sono 38 i casi di suicidio avvenuti nei primi sette mesi dell’anno, fenomeno  che, in percentuale, è di 21 volte superiore alla media dell’Italia. I detenuti sono per il 30% tossicodipendenti, per il 10% soffrono  di  patologie mentali, per il 5%  sono affetti da HIV e per il 50% da epatite: rispetto ad un quadro sanitario già così critico,  l’attuale situazione di sovraffollamento, acuita dal  caldo estivo e dalla insufficienza di generi di prima necessità per l’igiene personale, incide pesantemente. Ma ad aggravare ulteriormente questo scenario contribuisce la carenza di organico del personale di polizia penitenziaria e le condizioni di trattamento degli stessi agenti, costretti anche a turni massacranti. Chiediamoci si ci sono le condizioni perché  l’espiazione della pena sia il tempo per una riflessione critica della propria  condotta e per la riabilitazione sociale? La sicurezza del Paese  non si garantisce con la sola repressione ma anche con la qualità del sistema penitenziario.

Paolo Bonafè
Lido di Venezia