Venezia, 10 luglio 2025 – La tragica vicenda avvenuta alla Giudecca, dove una donna di 65 anni è stata ritrovata senza vita nel silenzio più assoluto della sua abitazione, richiama con forza l’urgenza di accendere i riflettori su un fenomeno troppo spesso ignorato: la solitudine. Non si tratta di un semplice stato di isolamento fisico, ma di una condizione che, soprattutto tra gli anziani, si traduce in sofferenza psicologica, disagio sociale e, nei casi più estremi, in drammi umani come quello che ha colpito la comunità di Campo Junghans. La storia di Elisabeth Christensen Rosenberg, danese trasferitasi a Venezia, è quella di una vita ai margini della società, segnata dalla perdita del proprio cane e da un progressivo allontanamento dal tessuto sociale. Una presenza discreta, quasi invisibile, fino al tragico epilogo, che interroga tutti noi sulla responsabilità collettiva di prevenire l’isolamento.
Secondo i dati della Fondazione Veronesi e di insalutenews.it, la solitudine colpisce in Italia una quota sempre più ampia della popolazione, con tassi superiori alla media europea. Le cause sono molteplici: perdita di relazioni, ridotta mobilità, difficoltà economiche, problemi di salute e un sistema di welfare che fatica a rispondere alle nuove fragilità.
Azione Venezia ritiene che la politica, i servizi sociali e la comunità nel suo complesso debbano compiere un salto di qualità per affrontare questa emergenza sommersa. E’ necessario attivare interventi concreti che prevedano:
- Iniziative di socializzazione per anziani e persone sole, in collaborazione con associazioni, parrocchie e realtà culturali locali;
- Sostegno alle famiglie e ai caregiver per rafforzare i legami di vicinanza;
- Servizi di prossimità per monitorare le situazioni più a rischio, anche con la collaborazione dei medici di base e dei volontari;
- Campagne contro l’ageismo, per promuovere il valore degli anziani nella società e combattere i pregiudizi sull’età;
- Uso delle tecnologie per facilitare i contatti e offrire percorsi di socializzazione anche virtuale, nei casi in cui la mobilità sia limitata;
- Supporto psicologico accessibile e diffuso, per prevenire depressione e disagio.
Venezia non può permettersi che episodi come quello accaduto alla Giudecca si ripetano nel silenzio generale. Serve una rete di attenzione e cura, capace di riconoscere i segnali di solitudine e di intervenire prima che sia troppo tardi. La dignità di una città si misura anche dalla capacità di prendersi cura di chi resta indietro.
Il dramma della solitudine non è inevitabile, ma richiede responsabilità, ascolto e azioni concrete.
Paolo Bonafé – Segretario Comunale Azione Venezia
Antonella Cavazzina – Delegata al Welfare Azione Venezia


Si moltiplicano sulla stampa le drammatiche notizie di imprenditori e lavoratori che si suicidano per il rischio di fallimento della propria azienda o per la perdita del posto di lavoro.
Si tratta di una delle ultime definizioni sociologiche, riferita ad una generazione che si trova schiacciata in modo pressante fra due aree di bisogno, quella di cura e assistenza, espressa dai genitori ormai anziani e quella di sostegno ed aiuto economico, manifestata dai figli, impossibilitati ad emanciparsi dal nucleo familiare di origine. La generazione sandwich, oggetto di attenzione da parte dello stesso presidente Obama, in Italia presenta una connotazione propria e riguarda la generazione fra i 55 e i 65 anni, con una particolare caratterizzazione al femminile. E’ quindi sulle donne – per la funzione di caregiver loro storicamente attribuita – che questa pressione pesa maggiormente: le cause sono rintracciabili nell’allungamento medio della vita, nella cronica carenza di servizi sociali, nella grave crisi economica. Ognuno di questi fattori, o un mix degli stessi, costringe questa generazione a fronteggiare le richieste di cura dei genitori e addirittura dei nonni, di mantenimento dei figli e di accudimento dei nipoti. Questa analisi non è volta a negare il valore imprescindibile del patto di solidarietà, che deve legare le generazioni fra loro, ma piuttosto evidenzia come questo patto, per realizzarsi pienamente nell’attuale società, non possa trovare risposta nel recupero del modello ottocentesco della famiglia patriarcale. A fronte della fisiologica crisi del Welfare State, il nuovo modello che si sta imponendo, il cosiddetto Welfare di Comunità, non deve confondere l’attuazione del principio di sussidiarietà con la rinuncia all’assunzione delle responsabilità da parte dello Stato, trasferendo i carichi di cura e assistenza sulle famiglie.
E’ di particolare efficacia il titolo “Famiglie in salita”, scelto per il 9° Rapporto Caritas – Fondazione Zancan, presentato a Roma lo scorso 22 ottobre. La ricerca, che ogni anno analizza la situazione di povertà nel nostro paese e l’ efficacia del nostro modello di welfare, ci offre un importante quadro dello stato di difficoltà in cui versa la famiglia italiana, anche a causa della grave crisi economica, che ha comportato, nel 2008, un aumento del 20% delle richieste di aiuto alla Caritas: i bisogni espressi sono prevalentemente di tipo economico (56,8% degli italiani e 48,1% degli stranieri) o legati a problemi di lavoro (44% degli italiani e 54,9% per gli stranieri). Resta drammatico il divario fra il Nord e Sud del paese, situazione di squilibrio unica nel panorama europeo. A fronte di questa situazione, il Rapporto segnala un modello di intervento inefficace, basato su una logica assistenziale, che privilegia l’erogazione di denaro, piuttosto che favorire la strutturazione di servizi. Ma la ricerca non si limita a fotografare la situazione di disagio in cui versiamo, perché individua anche le linee strategiche per rifondare il nostro welfare. Innanzi tutto una chiamata all’appello per uno sforzo comune –soggetti pubblici e privati, società civile e chiesa – perché dalla condizione di povertà e dalla crisi economica è possibile uscirne solo tutti insieme. In questo, che Monsignor Nozza definisce “cantiere aperto”, la Chiesa italiana si investe in prima persona, affinché il proprio servizio alla giustizia non sia realizzato come avventura solitaria, ma in stretta e convinta elaborazione con tutte le istituzioni e le espressioni della società.