L’ultimo allarme della FAO e la crisi mondiale

La grande speranza degli uomini dell’ultimo scorcio del XX° secolo, era contrassegnata dal convincimento che il nuovo millennio si sarebbe caratterizzato per un nuovo ordine mondiale, che avrebbe visto, grazie allo sviluppo sociale, economico e tecnologico, la sconfitta della povertà e della fame, l’affermarsi di un processo di pace e di riequilibrio nella fruizione delle risorse della Terra. Lo scenario che ci troviamo a vivere, mostra l’illusorietà di quella speranza: abbiamo conosciuto terrorismo, guerre e una crisi socio-economica di tali proporzioni, da imporre un ripensamento del nostro modello di sviluppo. In questo contesto, interviene l’allarme della FAO, che ci segnala il più grande scandalo dei nostri tempi: un sesto della popolazione mondiale soffre la fame e, nel 2009, rispetto all’anno precedente, aumenteranno di cento milioni le persone, che vivono questa condizione.
La situazione più drammatica riguarda l’ Africa subsahariana con un terzo della popolazione che patisce la fame, seguono l’Asia e l’Oceania, l’America Latina, il nord Africa e il Medio Oriente. Ci colpisce anche scoprire che, tra le pieghe del benessere dei paesi occidentali, 15 milioni di persone vivano una condizione di denutrizione. La recessione economica sta colpendo i paesi del terzo mondo attraverso la stretta creditizia, la drastica riduzione degli aiuti e la caduta delle esportazioni. Gli studiosi stimano per il 2015, un aumento della morte per denutrizione di 200-400 mila bambini. Un quadro drammatico si profila per il futuro dell’umanità, fatto di ingiustizie sociali, fame e pesanti rischi di guerra: il tema cruciale della redistribuzione delle ricchezze e delle risorse non è più rinviabile.
Paolo Bonafè – Presidente Laboratorio Venezia

L’equilibrio degli opposti nella parola crisi

Crisi, espressione inflazionata di questi tempi, per definire una situazione difficile e complessa, eppure questa parola ha, nel contempo, un significato aperto ad un dimensione di prospettiva ed opportunità. Il contenuto etimologico del vocabolo, che deriva dal greco, si riferisce al separare e quindi allo scegliere: il termine crisi pertanto, in questa accezione, indica una fase, che separa una maniera di essere, da un’altra differente; la crisi rappresenta così un momento di passaggio, cambiamento e scelta. Uscendo dai riferimenti della cultura occidentale, e trasferendoci nella lontana Cina, scopriamo che la parola crisi è composta da due ideogrammi: wei e ji, il primo significa problema, il secondo opportunità. Quindi, anche in culture così diverse, questa espressione include due poli, apparentemente opposti, ma che, tenuti insieme, attribuiscono senso e significato alla situazione vissuta. Le crisi, economiche e sociali, come quelle relazionali e personali, rappresentano fasi dolorose e faticose della vita di una società e dell’esistenza degli individui, ma contengono, in modo intrinseco, aspetti evolutivi e maturativi: sono molte le persone che riferiscono di essere uscite da una crisi più forti e umanamente arricchite. La crisi, per rappresentare un autentico momento di passaggio e cambiamento, richiede di essere riconosciuta, non negata nella sua reale problematicità e, in questa consapevolezza, esige la capacità di operare scelte importanti. In tale prospettiva, questo nostro tempo, caratterizzato dalla recessione economica e da un diffuso malessere sociale, è anche opportunità per costruire un modello di sviluppo migliore.

Paolo Bonafè – Presidente Laboratorio Venezia

Razzismo: eccezzione o fatto ordinario?

Oggi, sabato 13 giugno, a Roma, l’Associazione Lunaria presenta il Libro bianco sul razzismo. I curatori del volume pongono un quesito di fondo, per nulla banale, su come, nel nostro paese, gli episodi di razzismo non siano ascrivibili alla dimensione dell’eccezionalità, ma piuttosto rientrino in un approccio culturale, che investe in modo diffuso la nostra vita sociale. La ricerca, partendo dall’esame dei 319 casi che, dal 2007 all’aprile del 2009, sono entrati nelle pagine di cronaca dei nostri quotidiani, sfata l’opinione generale che definisce gli episodi di razzismo fatti isolati, non incardinati in un processo culturale che attraversa in modo complessivo il nostro paese, ma mostra come invece appartengano, purtroppo, all’ ordinarietà. Lo studio, inoltre, attraverso la rilettura del linguaggio giornalistico e delle modalità di riportare le notizie, indaga sulla rappresentazione, veicolata dai media, del fenomeno immigrazione, alimentando, attraverso l’attivazione di paure profonde, una cultura orientata al rifiuto e all’intolleranza nei confronti dello straniero. La stigmatizzazione delle persone consolida gli stereotipi, crea un corto circuito, fatto di diffidenza, pregiudizi ostilità, e favorisce un clima che ostacola qualsiasi processo, orientato alla costruzione di una società multietnica, come di fatto sta diventando quella del nostro paese, fondato sulla convivenza civile e rispetto reciproco. La preoccupazione che Lunaria segnala è forte e rappresenta un richiamo importante al reale pericolo che vede la cultura razzista permeare la vita sociale italiana.
Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia

Bambini e adolescenti: fra tecnologia e fragilità

E’ uno spaccato interessante quello che viene delineato dal IX° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, curato dall’Eurispes. Fra i molti dati, mette in luce come le nuove generazioni siano estremamente competenti nell’uso delle tecnologie: il 73,4% dei bambini fra i 7 e gli 11 anni, possiede un computer, di questi il 56,3% si connette ad Internet, mentre il 58,6% possiede un telefono cellulare. Nella fascia di età 12 -19 anni, si alza al 93% la percentuale di chi possiede un computer, a 81,9% quella di coloro che navigano in rete e, a 96,2%, quella relativa al possesso del cellulare. Il dato che maggiormente colpisce è quello relativo alla centralità assunta da questo ultimo mezzo di comunicazione nella vita quotidiana: se il 31% degli adolescenti lo utilizza fino ad 1 ora al giorno, ben il 30,8% se ne serve per più di 4 ore. Anche rispetto ai comportamenti relativi all’uso di alcool, emergono informazioni preoccupanti: fra gli 11 e i 14 anni risulta che 45,7% abbia bevuto il primo bicchiere di vino, il 24,8% dopo i 15 anni e, solo il 5,5%, dichiara di non aver mai bevuto alcolici. Si beve per omologazione con il gruppo di riferimento, partecipando alla “cultura dello sballo” non ci si sente esclusi. A fronte del fatto che queste nuove generazioni sembrano preferire un’esperienza esistenziale, mediata dalle tecnologie o, in casi più drammatici, dalle sostanze, piuttosto che confrontarsi con la vita reale, il mondo degli adulti appare assente o con una presenza poco incisiva. Lo sforzo cui siamo chiamati è di non demonizzare la tecnologia, ma insegnare ad usarla in modo critico, nel contempo, dobbiamo costruire una grande alleanza educativa fra tutti gli adulti di riferimento: genitori, scuola, comunità parrocchiale, realtà dell’associazionismo e istituzioni, per definire proposte educative credibili e coerenti.
Paolo Bonafè
Laboratorio Venezia