E’ alle porte la riapertura di un nuovo anno scolastico e più che mai infuriano le polemiche sulla scuola italiana: da una parte il ministro Gelmini e dall’altra le voci preoccupate che provengono da più parti della società italiana, fra le quali si staglia la legittima rabbia degli insegnanti precari.
Una voce terza può aiutarci a far luce sulla situazione italiana: è quella dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), qualificato organismo internazionale, che martedì scorso ha presentato il rapporto “Education at a Glace”. La ricerca mette in luce come la nostra struttura didattica abbia ancora un impianto ottocentesco, improntato alle molte ore di aula con ore di studio a casa e assenza di attività di laboratorio e esterne. Per quanto riguarda il mondo degli insegnanti, il loro numero risulta superiore alla media degli altri paesi, ma in esso, a differenza degli altri paesi interessati dal Rapporto, sono conteggiati anche gli insegnanti di sostegno e quelli di religione. Il loro trattamento economico è nettamente inferiore, come risulta assente un serio strumento di valutazione del loro operato, che garantisca funzioni di controllo, stimolo e valorizzazione. A fronte di un investimento medio nella formazione dei paesi Ocse, che si assesta intorno al 6,2% del Pil, il nostro paese investe solo il 4,9%. Resta ancora alta, ben al 20%, la percentuale degli abbandoni scolastici negli ultimi anni della scuola secondaria: si tratta di ragazzi ad alto rischio di disoccupazione.
Quello che emerge è un quadro preoccupante in una fase in cui è chiaro che preparazione e formazione rappresentano una chiave fondamentale per uscire dalla crisi.
Paolo Bonafè