L’attualità della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”: è questo il primo articolo della Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’Uomo, adottata il 10 dicembre 1948 dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che, di fronte agli orrori e alle lacerazioni causati dal secondo conflitto mondiale, affermava, attraverso questa Carta, i diritti inalienabili della persona umana. Nasciamo tutti uguali e liberi, tutti gli individui hanno diritto alla vita, a un tetto, nessuno può essere vittima di tortura: questi principi fondanti esprimevano l’ideale comune da raggiungere da parte di tutti i popoli e tutte le nazioni, attraverso progressive misure di ordine nazionale e internazionale. Le più grandi aspirazioni dell’uomo erano chiamate, superato un momento storico di efferata barbarie, ad orientare l’ edificazione di un nuovo assetto mondiale. Ma, a 60 anni dalla Dichiarazione, il cammino per riconoscimento della dignità di ogni uomo non è giunto a compimento: ancora oggi centinaia di milioni di esseri umani hanno costantemente minacciati i loro diritti alla vita, alla libertà, alla sicurezza. Va preso drammaticamente atto che non vengono rispettati i principi di uguaglianza e dignità, mentre nuove barriere vengono innalzate per motivi legati alla razza, al colore, al sesso, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche o alla appartenenza nazionale delle persone. E’ più che mai necessario che l’anniversario della Dichiarazione, celebrato in questi giorni, non si riduca ad una formale commemorazione, ma dia impulso al recupero di una rinnovata determinazione, affinché gli stati garantiscano ai cittadini l’effettivo godimento dei diritti umani.
Paolo Bonafè
Laboratorio Venezia
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La lezione di MORO sulla laicità
Il 16 marzo ricordiamo i trent’anni dalla strage di via Fani: il rapimento di ALDO MORO, il massacro della sua scorta e il suo assassinio, dopo 56 giorni di prigionia, segnarono in modo lacerante e irreversibile la storia della nostra Repubblica.
Ricordare, non è solo un dovere legato al rispetto e alla memoria, significa, anche, in un momento storico, segnato da troppe confusioni sul rapporto fra fede e politica, recuperare le radici più autentiche del significato che assume per un credente l’impegno civile.
Moro è stato il rappresentante più significativo di una generazione di giovani intellettuali cattolici che, al termine del secondo conflitto mondiale, volle, nel solco tracciato da Alcide De Gasperi, dedicarsi alla fondazione e costruzione dello stato democratico, prima nell’assemblea costituente, e poi nell’azione di governo.
Moro fu leader di quel cattolicesimo democratico cui va il merito di aver dimostrato che esiste una conciliabilità fra cristianesimo e democrazia, anzi la possibilità di un arricchimento della democrazia attraverso i valori e la tradizione religiosa.
In lui erano presenti una grande capacità di dialogo e di ascolto delle ragioni dell’altro, di lucidità nella lettura dei segni di cambiamento nella storia del nostro paese, di apertura a nuove prospettive dell’azione politica, costruendo le condizioni per l’entrata dell’allora Partito Comunista Italiano nell’area del governo.
Raffinato intellettuale, politico sapiente, rimase sempre un uomo profondamente fedele e coerente ai valori del cattolicesimo, pur nell’ autonomia dalla gerarchia ecclesiastica: il suo pensiero sul rapporto fra i cattolici impegnati in politica e la Chiesa, è ancora oggi di assoluta attualità e di alto valore morale.
Mi sembra che il suo pensiero possa essere pienamente colto nel discorso che questi fece al congresso nazionale della DC a Napoli nel 1962, dove in particolare dedicherà al tema della fatica che comporta l’essere cattolici impegnati in politica, questo passaggio della sua relazione: «per svolgere con vantaggio il difficile processo di attuazione della idea cristiana nella vita sociale […]. Anche per non impegnare in una vicenda estremamente difficile e rischiosa l’autorità spirituale della Chiesa c’è l’autonomia dei cattolici impegnati nella vita pubblica […]. L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza di valori cristiani nella vita sociale. E nel rischio che corriamo, nel carico che assumiamo c’è la nostra responsabilità morale e politica…».
Da questo, credo, si possa evincere il suo grande insegnamento sulla laicità, che riguarda lo sforzo della comprensione, del rispetto, dell’ascolto reciproco, accompagnati ad un sentimento di inquietudine, derivante da un profondo senso di responsabilità, che deve essere la caratteristica pregnante dell’impegno politico dei cristiani.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Si torna al voto senza aver riscritto le regole
I prossimi 13 e 14 aprile si torna, quindi, a votare con la legge elettorale “porcellum”: a nulla sono valsi i richiami da parte del Capo dello Stato, delle forze sindacali ed imprenditoriali ai partiti politici circa la necessità di un governo tecnico, funzionale a riscrivere le regole elettorali per garantire governabilità al Paese.
Questo richiamo alla responsabilità non è stato raccolto da tutti, a dimostrazione di quanto affermavano politologi e referendari (che avevano raccolto ben 800 mila firme per indire il referendum sulla legge elettorale), circa la volontà e l’interesse di molti partiti ad affossare il referendum, indirizzato a modificare l’attuale legge elettorale in senso maggioritario.
Quindi si tornerà a votare come nel 2006: la scelta dei deputati e senatori verrà fatta dalle segreterie dei partiti, ci si potrà candidare in più collegi per poi sceglierne uno, in accordo con il partito, magari per escludere un candidato poco organico alle lobbyes. Ancora una volta la politica, quindi, ha compiuto scelte in contrasto con la volontà espressa dai cittadini: il rischio è l’incremento dell’astensione al voto e l’ aumento della dicotomia fra società civile e “palazzo”. Eppure, in questo scenario di criticità, si possono individuare due importanti elementi innovativi: il Partito Democratico, che ha dichiarato di voler concorrere alle votazioni da solo, e che viene accreditato nei sondaggi al 30%, e la “Rosa Bianca”, che esprime un’area di centro di ispirazione cattolica, accreditata al 12%, autonoma dall’egemonia berlusconiana.
Questi due nuovi soggetti possono rappresentare le novità della politica italiana a garanzia di un esito non scontato della campagna elettorale.
Paolo Bonafe’
Presidente laboratorio Venezia
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La crisi economica delle famiglie e la crisi delle istituzioni
Il Monte dei Pegni di Venezia ha messo all’asta, nei giorni scorsi, gioielli per 50.000 euro; risultano inoltre 7000 le polizze di pegno annuali, erogate per piccoli “debiti a pegno “ di un valore tra i 300 e i 1000 euro.
Questi dati sono indicativi di una sofferenza economica che sta attraversando molte famiglie, non solo di fronte a investimenti importanti, ma anche nella gestione di bisogni legati alla quotidianità.
La perdita del potere d’acquisto dei salari, fermi al 2000, è esperienza concreta e condivisa e sta acquisendo la dimensione di un processo di impoverimento diffuso, che si sta diffondendo nel ceto medio, causando l’allargamento della forbice fra chi è benestante e chi non lo è più o non lo è mai stato.
La forte situazione di difficoltà economica amplifica la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, tanto più quando trova conferma nel malcostume e nei privilegi di casta che caratterizzano stili di vita della politica, nella scarsa qualità dei servizi erogati, nell’evasione fiscale garantita ancora a troppi e alla alta pressione fiscale sulle spalle di una sola parte del paese.
A conferma di ciò, può essere interessante leggere questi dati: il gettito fiscale in Italia, nel 2007, ammontava a 456,3 miliardi di euro mentre, in Germania, con un numero di contribuenti superiore di circa un terzo, ammontava a 539 miliardi di euro.
Ma a fronte di questo dato, l’Italia si pone agli ultimi posti per investimenti in infrastrutture, viabilità, ricerca e sviluppo.
In questo contesto facilmente germinano sentimenti qualunquisti e fatalisti su cui attecchiscono campagne populiste e di antipolitica.
Questi elementi, fonte di autentica preoccupazione, dovrebbero fungere da forte richiamo per tutti coloro che presiedono le istituzioni del paese, per un lavoro responsabile e corale, condizione indispensabile per riavviare un processo di dialogo con i cittadini.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Puntiamo al cambiamento della Politica per recuperare la dimensione etica dell’impegno civile
E’ di questi giorni il risultato di un sondaggio effettuato dalla EURISPES sulla fiducia degli italiani verso le istituzioni: ne emerge un quadro di grande criticità del rapporto cittadino – istituzioni, che vede confermare e rafforzare un trend già in atto da alcuni anni. Non ci si può limitare ad esprimere sentimenti di preoccupazione senza cogliere quali pesanti ricadute contenga questo segnale di grande malessere. In particolare vorrei proporre una riflessione sulla crisi del rapporto cittadino/partiti che si traduce in disaffezione, disinteresse e perdita di fiducia nel sistema rappresentativo. I partiti politici sono in continua perdita di credibilità ( raccolgono solo il 14% di fiducia): la loro azione sembra più orientata ad alimentare la litigiosità, gli interessi e i privilegi particolari, piuttosto che la tutela del bene della cosa pubblica.
Accanto alla percezione di un degrado morale, i cittadini avvertono un’incapacità nel dare risposte efficaci e in tempi brevi alle difficoltà socio-economiche che attraversano la società.
La crisi dei partiti come strumenti di mediazione e di sintesi dei problemi della società, rischia di diventare un elemento strutturale che alimenta pericolose forme di ”antipolitica”
Va, pertanto, avviato con urgenza un processo di cambiamento che riguardi nel complesso tutto il sistema di relazioni fra il livello politico/decisionale e il cittadino. Nell’immediato, per avviare un percorso che riduca il gap esistente, va garantita al Paese una nuova legge elettorale, quale risposta concreta alla grande adesione di partecipazione al referendum, ma è altrettanto indispensabile che la politico esca dal corto circuito dell’autoreferenzialità, recuperando la dimensione etica propria dell’impegno civile.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Puntiamo al cambiamento della Politica per recuperare la dimensione etica dell’impegno civile
E’ di questi giorni il risultato di un sondaggio effettuato dalla EURISPES sulla fiducia degli italiani verso le istituzioni: ne emerge un quadro di grande criticità del rapporto cittadino – istituzioni, che vede confermare e rafforzare un trend già in atto da alcuni anni. Non ci si può limitare ad esprimere sentimenti di preoccupazione senza cogliere quali pesanti ricadute contenga questo segnale di grande malessere. In particolare vorrei proporre una riflessione sulla crisi del rapporto cittadino/partiti che si traduce in disaffezione, disinteresse e perdita di fiducia nel sistema rappresentativo. I partiti politici sono in continua perdita di credibilità ( raccolgono solo il 14% di fiducia): la loro azione sembra più orientata ad alimentare la litigiosità, gli interessi e i privilegi particolari, piuttosto che la tutela del bene della cosa pubblica.
Accanto alla percezione di un degrado morale, i cittadini avvertono un’incapacità nel dare risposte efficaci e in tempi brevi alle difficoltà socio-economiche che attraversano la società.
La crisi dei partiti come strumenti di mediazione e di sintesi dei problemi della società, rischia di diventare un elemento strutturale che alimenta pericolose forme di ”antipolitica”
Va, pertanto, avviato con urgenza un processo di cambiamento che riguardi nel complesso tutto il sistema di relazioni fra il livello politico/decisionale e il cittadino. Nell’immediato, per avviare un percorso che riduca il gap esistente, va garantita al Paese una nuova legge elettorale, quale risposta concreta alla grande adesione di partecipazione al referendum, ma è altrettanto indispensabile che la politico esca dal corto circuito dell’autoreferenzialità, recuperando la dimensione etica propria dell’impegno civile.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Per un Mondo migliore dobbiamo mantenere viva la memoria della Shoah
Il 27 gennaio si commemora la “giornata della memoria”, istituita con la legge n. 211 del 20.07.2000, a ricordo del 27 gennaio 1945, giorno in cui vennero abbattuti i cancelli di Aushwitz. Diventa importante dare sottolineatura a questo evento, nella consapevolezza che il secolo, lasciato alle nostre spalle, è stato testimone di una indicibile tragedia, che non va dimenticata: il tentativo del regime nazista di sterminare il popolo ebraico, con la conseguente uccisione di milioni di ebrei, uomini e donne, vecchi e giovani, bambini e neonati. Solo pochi fra coloro che furono internati nei campi di concentramento, sopravvissero ed i superstiti, per tutto il proseguire della loro esistenza, sopportarono e sopportano, nella loro carne e nella loro anima, ferite, angosce e terrori. Questo fu la SHOAH: uno dei principali drammi della storia. Questo termine fu coniato da Elie Wiesel, a sua volta scampato ad Auschwitz e Premio Nobel per la letteratura, per meglio spiegare la tragicità di quegli avvenimenti. La celebrazione di questa giornata deve rappresentare un monito, un forte richiamo per ciascuno, poichè la barbarie umana non ha mai fine e lo possiamo riscontrare drammaticamente dai genocidi e dalle persecuzioni, che continuano a rappresentare un filo rosso insanguinato, evidente e rintracciabile nella storia contemporanea. Dinnanzi a questo orrore, nessuno può dichiararsi non responsabile od indifferente. La volontà di giustizia e pace deve rappresentare il valore fondante dell’agire personale e sociale di ogni persona, affinché, dalla memoria consapevole della pagina più buia della storia d’Europa, si sappia trarre insegnamento per costruire una società multirazziale, capace di solidarietà, riconoscimento reciproco e rispettosa delle differenze culturali e religiose.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Una nuova dichiarazione d’amore a Venezia
Possiamo sicuramente affermare che questo 2008 sia partito sotto i migliori auspici per la nostra città: Venezia ha infatti vissuto un veglione e un capodanno da autentica protagonista. L’ iniziativa del “Bacio di Mezzanotte” ha richiamato oltre 60.000 persone in piazza San Marco e le immagini dell’evento hanno fatto il giro del Mondo. Parimenti, il concerto di capodanno della Fenice, in pochi anni, ha saputo affermarsi come appuntamento di tradizione, apprezzato dalla critica e dai telespettatori.
Venezia rappresenta uno straordinario palcoscenico internazionale che necessita di una competente gestione e valorizzazione, pertanto va riconosciuta come strategica la costituzione della Società degli Eventi, il cui positivo battesimo, grazie anche al suo direttore artistico Marco Balich, fa ben presagire per il futuro.
E’ opportuno dare risalto a questi eventi, affinché la sottolineatura di segni positivi solleciti nei veneziani uno sguardo costruttivo sulla città, superando la tentazione, che un po’ ci caratterizza, alla lamentela e al piangerci addosso.
Viviamo in una città straordinaria e forse, proprio perché quotidianamente immersi in questa bellezza, rischiamo di darla per scontata, quando pare avere il sopravvento il sentimento di fastidio per la presenza di troppi turisti e sembriamo smarrire la capacità di sorprenderci, di godere della vista di uno scorcio che si apre fra le calli, di emozionarci per uno squarcio di tramonto dietro alle cupole e i campanili.
Sarebbe bello che quest’anno iniziasse con una rinnovata dichiarazione d’amore dei veneziani per la loro città: amore che significa non solo ammirazione e orgoglio, ma che deve tradursi anche in cura e rispetto, nella volontà di non mercificarla, attraverso scelte economiche compatibili con la sua struttura, la sua storia e la sua vocazione culturale internazionale.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
L’Auspicio per il 2008 di una nuova politica più consapevole
Al di là di ogni ritualità, che l’arrivo di un nuovo anno comporta, credo sia opportuno dare avvio al 2008 con un augurio speciale, da rivolgere a chi amministra il Paese, le città grandi e piccole in cui viviamo, affinché si gestisca la cosa pubblica con una nuova prospettiva e nella consapevolezza della responsabilità che comporta l’assunzione di scelte e decisioni, che riguardano da vicino la vita di ogni cittadino. Questo, ad esempio, implica che non si possano elaborare singole politiche di settore, scisse dalle altre azioni che investono il territorio, ma si debba pensare ad un nuovo modello strategico che svolga una unica coerente e concertata azione, capace di tenere insieme, facendo sinergia, la politica delle attività economico-produttive, dei trasporti, del welfare, della residenza, dell’istruzione e della cultura Perché se desideriamo abitare in un paese solidale e sicuro, questo comporta necessariamente la costruzione di città urbanisticamente a misura d’uomo, significa fare proposte culturali che riguardano valori e stili di vita, significa promuovere la cultura della legalità e della corresponsabilità.
Ma va anche pensato un nuovo modello, che aiuti a ricomporre l’attuale frattura tra la politica e il cittadino. Va pertanto favorita l’attivazione di processi che facilitino “le forme del partecipare” delle persone, in grado di rinsaldare o rendere più armonioso il rapporto cittadini-istituzioni e dei cittadini fra loro. L’obiettivo da perseguire è quello di garantire percorsi volti all’individuare insieme soluzioni ai problemi ed alle esigenze espresse dai diversi soggetti, attraverso attività condivise di progettazione partecipata, mediante il riconoscimento delle risorse presenti nei singoli, nelle famiglie e nelle comunità, la valorizzazione dei saperi e delle competenze, per favorire l’autodeterminazione, sentimenti di appartenenza e il senso della dimensione collettiva.
Paolo Bonafè
Presidente di laboratorio Venezia
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La città solidale
Di fronte alla sfida della complessità che investe la società in cui viviamo il nostro compito è quello di garantire una nuova prospettiva ed un nuovo approccio nell’elaborazione ed attuazione delle politiche pubbliche, consapevoli che l’azione politica non possa mai essere disgiunta dalla responsabilità che comporta l’assunzione di scelte e decisioni, che riguardano da vicino ogni cittadino ed ogni persona che vive nel nostro territorio. Questo implica che non si possa pensare alle politiche sociali come a delle azioni volte ai cittadini più svantaggiati, scisse dalle altre azioni politiche che investono il territorio, ma dobbiamo pensare ad un nuovo modello strategico che svolga una unica coerente e concertata azione sulla città, capace di tenere insieme, facendo sinergia, la politica della residenza, dei trasporti, delle attività economico-produttive, dell’istruzione della cultura e del welfare.. Perché pensare ad una città sicura e solidale significa costruire una città urbanisticamente a misura d’uomo, significa fare una proposta culturale che riguarda valori e stili di vita, significa promuovere la cultura della legalità e della corresponsabilità. La finalità generale da perseguire deve essere quella di favorire l’attivazione di processi che facilitino “le forme del partecipare” dei cittadini alla vita della città, in grado di rinsaldare o rendere più armonioso il rapporto cittadini-istituzioni e dei cittadini fra loro. L’obiettivo è quello di garantire percorsi volti all’individuare insieme soluzioni ai problemi ed alle esigenze espresse dalle persone, attraverso attività condivise di progettazione partecipata, mediante il riconoscimento delle risorse presenti nei singoli, nelle famiglie e nelle comunità, la valorizzazione dei saperi e delle competenze, per favorire l’autodeterminazione, sentimenti di appartenenza e il senso della dimensione collettiva. Il nostro progetto, nello specifico, è improntato ad un nuovo modello di welfare, che di fronte alla carenza di risorse finanziare, vede le politiche sociali muoversi nello scenario cittadino con un’azione innovativa che pone effettivamente al centro i cittadini, non più considerati semplici utenti, destinatari di interventi, ma piuttosto attori dei processi di aiuto ed inclusione, perché ai problemi espressi da un tessuto sociale sia la stessa comunità, nelle sue diverse articolazioni, ad individuare le risposte.
Paolo Bonafe’
Partito Democratico – Venezia