Li chiamano i ragazzi della “seconda generazione”, sono gli 862.000 figli di immigrati che vivono in Italia, di questi, ben 457.000, sono nati nel nostro paese. I numeri da soli non servono, ma aiutano a ricostruire un quadro complessivo alla luce dei 4.330.000 stranieri – il 7,2%, della popolazione italiana – presenti regolarmente nel nostro territorio e il cui lavoro contribuisce alla creazione del nostro PIL.
Non è un caso, pertanto che, a partire dal Presidente della Camera, siano molte le voci che si alzano per richiamare i temi del diritto al voto e del rendere più rapido l’iter per il riconoscimento della cittadinanza. Il cammino culturale per cui da straniero si diventa cittadino, rappresenta un passaggio cruciale di cultura e identità, perché comporta il riconoscimento di diritti ma anche di doveri, che trasformano l’ospite in colui che a pieno titolo partecipa alla vita di un paese in un processo di crescita dell’appartenenza e di rafforzamento delle responsabilità. Rispetto all’immigrazione è, pertanto, necessario fare chiarezza senza utilizzare in modo fuorviante il tema degli sbarchi, della clandestinità, della delinquenza per alimentare un clima che vede in questo fenomeno una minaccia ed un pericolo. Se l’integrazione rappresenta, quindi, la grande sfida con cui siamo tutti chiamati a misurarci, un primo segnale importante proviene proprio dal Parlamento dove è in discussione una proposta di legge bipartisan degli onorevoli Sarubbi(PD) – Granata(PDL), che prevede sia la cittadinanza per i bimbi nati in Italia da genitori stranieri – regolari da almeno cinque anni- sia l’ottenimento della cittadinanza, per tutti gli immigrati, dopo cinque anni di residenza.
Paolo Bonafè