La crisi di Eurolandia e quale politica economica per l’Italia

La crisi di Eurolandia e quale politica economica per l’Italia
L’ onda lunga della crisi economica continua ad impattare i paesi europei: dopo la crisi della Grecia, con il conseguente ri-finanziamento da parte della Comunità Europea, ora tocca all’Irlanda subire una analoga  situazione, per la catastrofica condizione in cui gravano le sue banche. Il problema riguarda l’enorme esposizione nei confronti del settore immobiliare che, ancora nel 2005, pesava per il 22% del PIL causando, già nel 2009, la recessione e la contrazione dello stesso PIL tra il 6 e il 7% . Ma lo scenario europeo  vede in particolare difficoltà il Portogallo e la Spagna, paese che nel Portogallo ha investito molti capitali nel settore immobiliare. A causa dei debiti/crediti tra queste due nazioni, alcuni analisti pongono il limite di default al primo trimestre del 2011, quando gli istituti finanziari dovranno pubblicare i dati della loro esposizione immobiliare;  alcune voci, riportate dal Financial Time Deutschland, parlano di pressioni affinché Lisbona richieda subito il salvataggio europeo, per consolidare le posizioni spagnole. Ambedue i Paesi stanno per emettere ingenti emissioni di buoni del tesoro per ricapitalizzare il proprio debito pubblico, rischiando di diventare vulnerabili alle azioni speculative internazionali, magari manovrate dai paesi emergenti o dagli Stati che non hanno interesse ad un Euro forte. In questa prospettiva la crisi di eurolandia diventerebbe  insostenibile e potrebbe causare problemi inflattivi di tale portata,  da far cadere anche l’Italia nella fase recessiva, e far propendere Francia e  Germania, paesi più forti, a rivedere la loro partecipazione ad una moneta unica. La crisi mette in luce il fallimento dell’Europa nell’esprimere una efficace capacità di governo, per le resistenze degli stati membri, che non hanno permesso si affermassero politiche economiche unitarie,  ma solo una  generica governance delle regole. Come conseguenza abbiamo un’ Europa a due velocità con il rischio di una rottura fra aree economicamente più forti, non più disponibili  a farsi carico di quelle più deboli. Si potrebbe, così, aprire una nuova fase che comporterebbe o la  revisione dei parametri europei, o l’uscita voluta od indotta dal sistema di alcuni paesi. L’Italia stessa si troverà a breve a dover rifinanziare  il proprio debito pubblico con una notevolissima emissione di titoli di stato e potrebbe finire oggetto degli stessi speculatori, che stanno mettendo in ginocchio la Spagna. La situazione richiede, con drammatica urgenza, un governo del Paese in grado di farsi carico, prima della fine dell’anno, di azioni prioritarie per salvaguardare  la nostra finanza da azioni di speculazione finanziaria. La prima è ridare stabilità, autorevolezza e credibilità alla politica italiana, fattori determinanti per la solidità economica del Paese, superando l’attuale stallo di un governo incapace di dare la giusta attenzione ai problemi degli italiani, perché proteso a difendersi da continui e progressivi scandali. L’ipotesi è un governo di ampia maggioranza che chiami alla corresponsabilità  tutti i soggetti in grado di assumersi l’onere di affrontare la crisi, adottando misure drastiche, anche se  impopolari. La seconda azione, è legata alla programmazione economico-finanziaria e riguarda la necessità di arrestare i processi di delocalizzazione industriale,  l’avvio di una incisiva lotta all’evasione fiscale, la promozione di un welfare che abbia la famiglia come soggetto prioritario e centrale. La terza azione riguarda la ricontrattazione della nostra partecipazione all’Euro, nella consapevolezza che,  se questo percorso non fosse praticabile, dovremmo affrontare una Exit Strategy, ovvero la valutazione di una nostra uscita dall’Euro,  secondo il modello adottato dal Regno Unito. Si tratta di una scelta prospettata da alcuni economisti, che comporterebbe inizialmente una forte crisi di adattamento ai mercati, ma che avrebbe sul futuro, ricadute favorevoli, poiché sostituirebbe il vincolo esterno, a cui ci sottopone l’Europa,  con una diretta responsabilità del nostro governo, che avrebbe la sovranità delle scelte economiche che ci riguardano e anche sulle strategie  delle alleanze globali. Si tratta di utopie o di fughe in avanti, certo è  che il primo trimestre del 2011 è alle porte, e lì potremo misurare le condizioni del nostro futuro.
Paolo Bonafè
Lido di Venezia 20/12/2010