Archivi categoria: Economia

“Governance e Sussidiarietà” per un nuovo modello di partecipazione

Il principio di sussidiarietà, che trova il proprio fondamento nella nostra Costituzione, ha potuto trovare pieno riconoscimento solo attraverso un articolato percorso normativo e culturale, che ha attraversato tutta la storia della Repubblica. Solo così si è reso possibile il passaggio da un’interpretazione riduttiva, secondo cui lo Stato interviene lì dove altri non intervengono, ad un pieno riconoscimento di questo principio inteso come modello che equilibra organicamente i diversi livelli e funzioni della società in modo integrato, evitando indebite sostituzioni, per favorire l’assunzione di responsabilità da parte di ogni attore, nella chiara distinzione dei compiti. Lo scenario che viene così a delinearsi è per sua natura complesso ed in continuo divenire, perché vede muoversi, in una situazione caratterizzata da un’assenza di regole del gioco stabili e predefinite, una pluralità di soggetti: tale contesto richiede una cruciale funzione di regia dell’intero sistema, un’azione di governance che sia, non solo un’ attività di coordinamento tra i diversi attori, ma sia soprattutto azione processuale e strategica, svolta dal soggetto pubblico nei confronti di altri livelli di governo (nel rapporto Stato – Regioni – Enti Locali) e la pluralità di soggetti privati. Questi due principi, sussidiarietà e governance, delineano pertanto la cornice in cui si sviluppa un nuovo modello di partecipazione dei cittadini, che si pongono in un nuovo rapporto con le amministrazioni locali, in una dimensione di corresponsabilità, finalizzata al benessere e alla crescita della comunità nel suo insieme, costituendo un modello innovativo di “amministrazione condivisa” .

Paolo Bonafè

Presidente Laboratorio Venezia

www.laboratorio.venezia.it

La contabilità ambientale strumento di politiche sostenibili

Alcune città italiane stanno adottando il bilancio ambientale, quale strumento, di valutazione, da parte dell’amministrazione locale, degli impatti ed effetti ambientali, prodotti, sul proprio territorio, dal complesso delle azioni politiche.
Infatti, gli strumenti contabili tradizionali sono inadeguati a rappresentare i problemi e i costi ambientali, a fronte dell’attuale necessità di essere in possesso di strumenti, capaci di favorire lo sviluppo di un sistema di informazioni e indicatori, a supporto del processo decisionale dei pubblici amministratori. La contabilità ambientale è, pertanto, un sistema che garantisce la rilevazione, la gestione e la comunicazione di dati ambientali, sia fisici che economici, per promuovere un processo di trasparenza e democrazia, attraverso il quale l’Amministrazione rende conto ai cittadini degli esiti delle proprie politiche, a fronte degli impegni assunti nei confronti della stessa comunità. Si tratta, pertanto, di un modello innovativo, da affiancare al sistema ordinario di rendicontazione economica e finanziaria, che definisce procedure idonee a misurare la sostenibilità dello sviluppo di un determinato territorio e, nel contempo, in grado di internalizzare la variabile ambientale nelle decisioni politiche. Oggi la questione ambientale, rappresenta un’autentica emergenza, tale da esigere scelte politiche radicali: l’avviare nelle città una "progettazione urbana sostenibile",prevedendo che la programmazione e pianificazione territoriale, siano azioni orientata dall’attenzione ai fattori ambientali, rappresenta un passaggio culturale e politico cruciale, per la tutela dell’ecosistema.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
www.paolobonafe.it

La contabilità ambientale strumento di politiche sostenibili

Alcune città italiane stanno adottando il bilancio ambientale, quale strumento, di valutazione, da parte dell’amministrazione locale, degli impatti ed effetti ambientali, prodotti, sul proprio territorio, dal complesso delle azioni politiche.

Infatti, gli strumenti contabili tradizionali sono inadeguati a rappresentare i problemi e i costi ambientali, a fronte dell’attuale necessità di essere in possesso di strumenti, capaci di favorire lo sviluppo di un sistema di informazioni e indicatori, a supporto del processo decisionale dei pubblici amministratori. La contabilità ambientale è, pertanto, un sistema che garantisce la rilevazione, la gestione e la comunicazione di dati ambientali, sia fisici che economici, per promuovere un processo di trasparenza e democrazia, attraverso il quale l’Amministrazione rende conto ai cittadini degli esiti delle proprie politiche, a fronte degli impegni assunti nei confronti della stessa comunità. Si tratta, pertanto, di un modello innovativo, da affiancare al sistema ordinario di rendicontazione economica e finanziaria, che definisce procedure idonee a misurare la sostenibilità dello sviluppo di un determinato territorio e, nel contempo, in grado di internalizzare la variabile ambientale nelle decisioni politiche. Oggi la questione ambientale, rappresenta un’autentica emergenza, tale da esigere scelte politiche radicali: l’avviare nelle città una "progettazione urbana sostenibile",prevedendo che la programmazione e pianificazione territoriale, siano azioni orientata dall’attenzione ai fattori ambientali, rappresenta un passaggio culturale e politico cruciale, per la tutela dell’ecosistema.

Paolo Bonafè

Presidente Laboratorio Venezia

www.paolobonafe.it

Fronteggiare la crisi del ceto medio con una nuova politica economica

Fronteggiare la crisi del ceto medio con una nuova politica economica

La crisi economica mondiale, alla quale stiamo assistendo, che ha origine negli USA ma che sta interessando anche l’Europa e l’italia per la globalizzazione dei mercati, è dovuta ad una errata politica economia perpetrata negli anni. Infatti sta fallendo il modello di utilizzare il prestito o il mutuo come unico strumento per il mantenimento di un tenore di vita, alle volte superiore alle reali possibilità, unito alla troppa facilità delle banche di erogare prestiti senza le dovute garanzie. Fortunatamente in Italia il sistema bancario è più solido e fortunatamente nel 2002, le forze politiche di opposizione di allora, riuscirono a bloccare un’analoga iniziativa che l’allora (e l’attuale) Ministro Tremonti voleva applicare anche in Italia, per dare un scossa all’economia italiana, che già allora denunciava la prima crisi dei consumi e l’allarme stagnazione. Questo però non rende comunque l’Italia immune dalla crisi visto che anche nostri grandi istituti bancari hanno investito nelle banche che ora stanno fallendo e l’Italia potrebbe rischiare di pagarne una parte delle conseguenze. Sicuramente stanno pagando quei risparmiatori che sono stati indotti da promotori finanziari ad investire capitali in quel mercato.
In Italia l’ISTAT sta evidenziando come esista oramai una stagnazione dell’economia e un crollo dei consumi delle famiglie. Soprattutto la fascia maggiormente toccata da questo fenomeno è il cosiddetto ceto medio che si trova a fronteggiare un aumento dei prezzi e una diminuzione delle proprie risorse economiche.
Questa situazione di “crescita zero”, unita ad una moneta come l’euro troppo forte, rispetto alle altre monete normalmente utilizzate nel mondo (vedi soprattutto il dollaro) porta ad un conseguente aumento dell’inflazione e ad una crisi diffusa, che parte dell’industria e dalle piccola e media impresa ma che finisce nel commercio e nel settore dell’artigianato. All’ondata di crisi seguono anche i tagli e i licenziamenti da parte di alcune grandi aziende, ma che a cascata vanno ad interessare anche quelle piccole imprese che sono il tessuto della nostra economia soprattutto nel nord est. I commercianti e i piccoli imprenditori raccontano di una perdita del 20% del loro fatturato e di una continua moria di piccole e medie aziende che non sono state in grado di fronteggiare la crisi. Necessitano quindi politiche mirate alla riduzione dei prezzi e ad una maggior serenità nell’economia perché altrimenti la paura porterà ad un ulteriore calo dei consumi e quindi ad una crisi indotta ancor più grave di quella attuale.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia

Crisi economica e capacità di spesa

Crisi economica e capacità di spesa
Sul fronte della situazione economica del paese, è l’ISTAT a offrirci, nel suo rapporto annuale, il quadro della capacità di spesa delle famiglie italiane. La ricerca mette in luce come il Veneto sia la regione che registra, con oltre 3000 euro mensili, la maggiore spesa media famigliare, a fronte dei 1300 euro della Sicilia, regione con la spesa più bassa. Da questo range scaturisce la media nazionale che si assesta sui 2.480 euro al mese per famiglia (2.796 euro al nord, 2.539 euro al centro e 1.969 euro al sud).
Se una prima lettura dei dati ci potrebbe far dire che, in ciascuna area considerata, la spesa sia direttamente proporzionale alla situazione economica, l’osservazione sarebbe superficiale se non si introducesse una ulteriore variabile, per cui la spesa maggiore sarebbe correlata ai differenti costi dei beni di consumo, rilevabili nelle diverse zone territoriali.
Infatti, se i costi di trasporti, servizi, energia, autostrade sono abbastanza uniformi in tutta Italia, al nord, sui prezzi dei beni alimentari e di prima necessità, incidono pesantemente i costi della filiera che va dalla produzione alla trasformazione e al dettaglio. Inoltre, il dato ISTAT sull’inflazione di maggio, utilizzato per il ricalcolo dei prezzi degli affitti è pari al 3,5%: questo aumento graverà maggiormente sulle famiglie del nord e del centro, per il maggior valore degli immobili e dei costi degli affitti.
In passato si è parlato di gabbie salariali, proporzionate alla reale inflazione del territorio di residenza: questi dati, forse, possono supportare una ulteriore pista di riflessione per la riapertura di un dibattito.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Non si vive di solo PIL

L’informazione circa la situazione economica italiana ed internazionale, ci viene veicolata utilizzando come indicatore il PIL (Prodotto Interno Lordo), unità di misura che indica la crescita economica, ma non è esaustiva nel rappresentare la complessità della situazione socio-economica e ambientale di un paese. Non viene mai sottolineato, ad esempio, che il PIL non contabilizza i costi ambientali e sociali di un determinato modello di sviluppo, non evidenzia la distribuzione della ricchezza in un territorio, non mette in luce la reale qualità della vita delle persone.
In questi giorni la Campagna Sbilanciamoci ha presentato il sesto rapporto annuale “Come si vive in Italia?”, utilizzando come indicatore il QUARS (Indice di Qualità Regionale di Sviluppo) che indaga sette dimensioni: ambiente, economia, diritti e cittadinanza, salute, istruzione e cultura , pari opportunità e partecipazione.
Emerge un quadro ricco e articolato della situazione delle regioni italiane (consultabile sul sito wwww.sbilanciamoci.org), ma l’elemento di riflessione più interessante riguarda la necessità di sviluppare strumenti efficaci per misurare il grado di sviluppo complessivo di un territorio e supportare i decisori politici nelle scelte strategiche, attraverso un sistema di conoscenze fondato sui dati. La sfida è quella di disegnare un modello di sviluppo sostenibile, capace di rendere compatibile e mettere in sinergia la politica economica con la tutela ambientale, il diritto alla salute, la qualità dei servizi, l’accesso alla cultura, la partecipazione alla vita sociale.

Paolo Bonafe
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Dalla pubblicazione dei redditi traspare che è il ceto medio che paga la crisi economica

Dalla pubblicazione dei redditi traspare che è il ceto medio che paga la crisi economica
E’ di questi giorni la polemica relativa alla pubblicazione sul Web dei redditi degli italiani. Al di là delle valutazioni di legittimità di questa azione, l’elemento su cui desidero soffermarvi si riferisce all’altissimo numero di contribuenti con un reddito di circa 15.000 euro annui: se da un lato, ci si confronta con questo dato interrogandosi se non sia influenzato da un livello di evasione fiscale ancora troppo elevato, dall’altro, non ci si può esimere dall’esprimere preoccupazione per la situazione economica del paese. La Confcommercio evidenzia un crollo dei consumi e una contrazione della spesa del 1,7%, segnalando per l’Italia il pericolo della crescita zero. L’andamento non positivo delle borse, l’aumento del costo dei mutui e il concomitante aumento del prezzo del petrolio (con tutte le sue derivazioni e conseguenze) stanno mettendo in ginocchio la famiglia media italiana, che è e si sente sempre più povera. Si allarga, pertanto, il divario fra il ceto medio e chi detiene la ricchezza: non a caso il mercato segnala che i beni di lusso non sono toccati dalla crisi. Il Governo è pertanto chiamato ad individuare strategie urgenti a sostegno dei redditi: la proposta di ridurre le aliquote IRPEF è quanto mai necessaria, ma va coniugata alla introduzione di quozienti familiari, a forme di aiuto alle famiglie monoreddito e ai pensionati. Il fantasma della recessione è infatti oggi un rischio concreto e reale, soprattutto nella situazione congiunturale che vede l’aumento del costo delle materie prime, il crollo della domanda interna e un euro troppo forte nei confronti del dollaro, con la conseguente crisi delle esportazioni.
Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Alcune osservazioni sulla Legge Finanziaria per il 2007

La Legge Finanziaria non è solo al centro del dibattito politico ma è anche oggetto di interesse da parte dei cittadini; ho però la sensazione che le informazioni a disposizione siano spesso confuse, parziali e di conseguenza poco utili per la comprensione di uno strumento molto complesso. Sicuramente, esistono responsabilità da parte di chi ci governa, che quotidianamente ci offre un quadro incerto e in continuo cambiamento della Finanziaria, ma anche da parte di quei settori dell’opposizione che, sconfitti dalle votazioni, vogliono usare la protesta di piazza per creare allarmismo sociale tra i contribuenti del ceto medio, che stanno soffrendo, ancor oggi, l’entrata dell’Euro e sono preoccupati di dover subire ulteriori perdite del proprio potere d’acquisto.
Lo scontro politico cui stiamo assistendo, non giova all’esercizio responsabile della democrazia: la stessa opposizione, qualora avesse vinto le elezioni, sarebbe stata chiamata ad intervenire su una oggettiva situazione di pericolo per i conti pubblici, infatti, l’ Avanzo Primario è passato dal 5,5% del PIL del 2000, allo 0,4% del PIL nel 2005. Questo ha comportato una spesa pubblica che è cresciuta a ritmi insostenibili, tanto da costringere il precedente governo a ridurre le componenti discrezionali della spesa pubblica, relativamente ai finanziamenti in conto capitale, a quelli per le infrastrutture, per le reti ferroviarie e stradali, per la ricerca e lo sviluppo. Il governo Prodi, in una situazione che poteva causare la paralisi e la chiusura dei cantieri già appaltati, ha dovuto rifinanziare (con il Decreto Bersani-Visco) di 2,8 miliardi di euro sia l’ANAS che le Ferrovie dello Stato. In un contesto di tale criticità, era improcrastinabile l’intervento sui conti pubblici: il Governo ha ritenuto di presentare una manovra finanziaria che prevedesse una mobilizzazione di oltre 33,4 miliardi di euro ( pari al 2,3% del PIL). Di queste risorse finanziarie: 5 miliardi sono destinati al grande piano dei trasporti, altri 15 miliardi sono destinati alla riduzione del deficit di bilancio, i rimanenti sono destinati ad interventi per lo sviluppo e l’equità sociale.
Questo in linea con quanto indicato dalla Comunità Europea, che chiede una correzione strutturale del debito netto pari a 1,6 punti percentuali del PIL (biennio 2006-2007) e una rimodulazione del rapporto tra il deficit e il PIL al 2,8% nel 2007. Sull’entità della manovra è legittimo esprimere opinioni diverse, ma la lettura dei dati succitati, correlati a quelli che indicano la presenza in ITALIA di un indice di povertà relativa pari al 19%, rispetto al 15% della media europea, mette in luce che siamo tra i paesi d’Europa con la più alta disuguaglianza dei redditi. L’aumento del lavoro precario e l’incremento della volatilità dei redditi, coniugato al loro livellamento verso il basso, a seguito dell’entrata in vigore dell’euro, hanno accentuato nei nuclei familiari la sensazione di vulnerabilità economica e sociale.
Operare sull’IRPEF e su gli altri indicatori economici, diviene quindi l’unico strumento a disposizione dello Stato, per aiutare coloro che vivono al limite della soglia di povertà. Questi interventi sono: la modifica delle aliquote; l’aumento della no-tax area per i dipendenti, i pensionati e gli autonomi; la riforma degli istituti a sostegno delle famiglie e per i carichi famigliari. Queste azioni, si presume, porteranno ad una diminuzione dell’imposta per i redditi medio- bassi dei lavoratori dipendenti, autonomi e dei pensionati, che rappresentano il 90% dei contribuenti italiani. Nella finanziaria sono inoltre presenti interventi che restringono le aree di precariato, quali l’aumento dei contributi sociali per i lavoratori parasubordinati e la riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall’azienda e la retribuzione netta effettivamente ricevuta dal lavoratore). Questo fattore ridarà fiato alle imprese, visto che il cuneo fiscale e contributivo in Italia è pari al 47,6% del costo del lavoro, mentre in Europa il valore medio è pari al 15%. In campo sociale, sono previsti interventi per oltre 6 miliardi di euro finalizzati: al potenziamento dei fondi per l’ occupazione, all’indennità di disoccupazione; alla creazione e potenziamento dei fondi per la famiglia, per i giovani e per le pari opportunità; al rilancio della politica abitativa, con agevolazioni agli interventi di edilizia residenziale pubblica, a favore dei giovani e dei ceti meno abbienti; al rafforzamento dei servizi per la famiglia.
Pertanto, riportando il dibattito sui temi importanti della manovra, questa finanziaria può rappresentare un primo strumento, orientato a favorire azioni di cambiamento nella politica dei redditi, a garanzia di una maggiore eguaglianza sociale, che potrà realizzarsi appieno solo quando verrà debellata quell’evasione fiscale, che droga il sistema del Welfare, sottraendo risorse a coloro che veramente abbisognano d’aiuto.
Per il futuro, una strada percorribile potrebbe essere quella di adottare il sistema Americano, che prevede la completa deducibilità di tutte le spese sostenute: in quel caso ci sarebbe l’interesse da parte di ogni cittadino ad utilizzare carte di credito – bancomat – assegni e a richiedere parcelle e fatture per le prestazioni richieste. Ma già un primo passo per garantire equità fiscale, sarebbe rappresentato dal controllo incrociato dei dati fiscali, legato ad un redditometro.

Paolo Bonafè
Il Presidente di “LABORATORIO VENEZIA”

Diciamo No ai tagli previsti nella Finanziaria 2006 per la FLOTTA PUBBLICA e per la CANTIERISTICA ITALIANA

Da analisi fatte l’80% delle merci in entrata ed in uscita dall’Italia viaggia via mare e di queste il 66% (per la mobilità interna) si sposta poi su strada; se a questi dati sommiamo anche il trasporto civile, l’incidenza del trasporto su gomma sale all’87%. Con questi dati dobbiamo onestamente dirci che i progetti di costruzione e/o ampliamento di autostrade non possono rappresentare l’unica via di sviluppo possibile per il Paese, per i costi economici ed ambientali che comportano.
Pertanto il trasporto marittimo, soprattutto per percorrenze superiori ai 300 km, diviene il settore che potrebbe registrare un alto margine di sviluppo e un basso impatto ambientale. Purtroppo, però, questo settore occupa ad oggi, solo il 5% del traffico merci totale. Pertanto, in una penisola come l’ITALIA, l’azione politica non può prescindere dall’analisi attenta dei costi economici, sociali ed ambientali delle scelte che si effettuano. Da un lato l’aumento vertiginoso di presenza di tir sulle nostre strade mette in luce l’inquinamento prodotto, le eccessive ore di guida dei camionisti, l’usura dei mezzi, il rischio incidenti; dall’altro il rilancio del trasporto via mare, garantirebbe l’allentamento della pressione sul nostro sistema stradale, permetterebbe la revisione di investimenti economici onerosi in infrastrutture con tempi lunghi di realizzazione.
Orbene, allora non si capisce perché il Governo non attui misure mirate in tale direzione. CONFITARMA ha lanciato un messaggio di allarme al Parlamento e al Governo che è rimasto ad oggi inascoltato. La stessa, con una lettera aperta inviata lo scorso 19 dicembre, chiedeva il rinnovo degli sgravi contributivi per le navi che operano nel cabotaggio, oltre al rifinanziamento della legge 88 del 2001, che consente di ridurre i costi per le costruzioni navali .
Intervenire in tali settori è indispensabile per non penalizzare importanti realtà industriali del nostro Paese. Gli sgravi contributivi per le navi che operano nel cabotaggio è una misura introdotta nel 1999, con l’apertura del traffico marittimo interno alle navi degli stati europei e tale intervento è finalizzato a ridurre i costi di esercizio delle navi italiane. L’altro intervento menzionato è il finanziamento della legge 88 del 2001, che prevede in accordo con il regolamento europeo, contributi del 9% per gli armatori che decidono di rivolgersi a cantieri italiani per costruire nuove navi. Questo significa che, per 17 delle cinquantasei nuove navi costruite grazie alla legge, non ci sono i soldi che il Governo si era impegnato ad assicurare agli armatori. Se uniamo poi questi tagli a quelli previsti per la flotta pubblica, in ordine ai contributi per i servizi dovuti, la situazione diviene davvero grave.
Questo significa mettere in pericolo migliaia di posti di lavoro e mettere in ginocchio un fondamentale settore economico.
Le Associazioni di Categoria degli Armatori pubblici e privati e l’ANCANAP (Associazione dei Cantieri Privati Italiani) auspicano che il Governo intervenga grazie ad un decreto correttivo “OMNIBUS”, anche se ad oggi non ci sono messaggi positivi in tal senso. Sotto il profilo ambientale sembra banale ricordare il livello inferiore di inquinamento prodotto dalle navi e il minor consumo energetico: le navi utilizzano nafte pesanti meno costose e prive di additivi che, se bruciate secondo le nuove normative, non inquinano.
In secondo luogo, sviluppare il trasporto via mare, comporta investimenti calcolati in una percentuale di 15 volte inferiore, rispetto agli investimenti necessari per infrastrutture stradali o ferroviarie. Un ulteriore calcolo evince che sarebbero sufficienti circa quindici navi traghetto, per diminuire del 20% il traffico pesante nelle tratte autostradali più congestionate: tale soluzione sarebbe disponibile in tempi ridotti rispetto alla realizzazione di infrastrutture autostradali e ferroviarie.

Pertanto, visto che a VENEZIA esistono importanti compagnie armatoriali e importanti cantieri di costruzione navale diviene fondamentale che i politici: parlamentari ed amministratori locali, intervengano verso il Governo ed il Parlamento per evitare che i tagli previsti mettano in ginocchio l’economia marittima e causare importanti ripercussioni anche sui livelli occupazionali locali e quindi sull’economia cittadina.

Il Segretario Regionale
FEDERMAR-CISAL Veneto
Cap.Paolo Bonafè