Una grande risposta civile contro la privatizzazione dell’acqua.

acqua pubblicaSenza grandi battage pubblicitari per la mobilitazione di massa, la campagna di raccolta  firme contro la privatizzazione dell’acqua, ha raccolto, in soli tre mesi, un milione e quattrocentomila adesioni.

Un successo straordinario che permetterà ai cittadini di esprimere – attraverso un referendum che dovrebbe tenersi nella primavera 2011 – il proprio parere nei confronti di un provvedimento governativo, che ha previsto per tutto il Paese la privatizzazione delle risorse idriche. Operazione che rischia di far aumentare le tariffe, peggiorare i servizi di distribuzione e diminuire la sicurezza del prodotto, nella consapevolezza che i nostri acquedotti esigono investimenti urgenti, poiché disperdono in media, nel loro percorso dalla fonte alle nostre abitazioni,  oltre il 60% di quanto estratto all’ origine. La campagna, non caratterizzatasi per l’appartenenza partitica dei promotori, ha mostrato che gli italiani si sono espressi a favore dell’ “acqua del Sindaco”, ma soprattutto ha evidenziato la loro forte  capacità di attivazione, quando si tratta di rivendicare il diritto di cittadini che vogliono decidere sull’uso dei beni comuni: questa mobilitazione fa cadere il luogo comune che ci assegna un’immagine di persone apatiche e indifferenti alle sorti della società in cui viviamo.

Ma la “battaglia per l’acqua” chiama tutti noi ad una sfida ancora più ardua e cruciale per il futuro dell’intera umanità e che riguarda scelte responsabili per far  fronte al dovere di dare risposta alla domanda di acqua del Pianeta e garantire il  diritto di tutti ad avere accesso a questo bene di prima necessità.

Paolo Bonafè Presidente www.LaboratorioVenezia.it

Dall’Università di Bologna una campagna contro lo spreco del cibo.

spreco ciboPatrocinata dal Parlamento Europeo e promossa da Last Minute Marking, parte la Campagna “Un anno contro lo spreco”, ideata dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, che persegue l’obiettivo di promuovere le buone prassi in grado di contrastare lo spreco alimentare.

Risulta sicuramente paradossale che, in piena crisi economica, ogni giorno gli italiani gettino nella spazzatura quattromila tonnellate di cibo. Si tratta di un dato che ci accomuna agli stili di vita di altri paesi occidentali: se, per media statistica, una famiglia italiana spreca il 12% degli alimenti acquistati, una svedese si assesta sul 25% e quella americana raggiunge il 40%.

spreco cibo - aranceLo spreco non è riferibile ai soli comportamenti privati, ma riguarda complessivamente una distorsione del sistema di mercato, che investe tutta la filiera alimentare dalla produzione, alla distribuzione, fino al consumo. In questi anni, per invertire il trend, si sono sviluppate pratiche innovative che, da attività di nicchia, si stanno gradualmente diffondendo. Esperienza significativa e consolidata è quella della Fondazione Banco Alimentare che, da anni, recupera eccedenze alimentari  e prodotti prossimi alla scadenza,  per dirottarli alle reti assistenziali. Su questa direttrice si stanno attivando anche gli Enti Pubblici ,attraverso il recupero e la redistribuzione dei pasti non consumati nelle mense di asili, scuole e ospedali. La Campagna ideata dall’Università, dimostrando che lo smaltimento del cibo, finito  fra i rifiuti, non produce solo spreco di risorse, ma anche danni ambientali, vuole incentivare nuove progettazioni e diffondere comportamenti virtuosi,

Paolo Bonafè – Presidente Laboratorio Venezia

La situazione economica delle famiglie italiane e le ricette del PD

Grazie ai periodici Rapporti dell’Istat, abbiamo un monitoraggio costante sulla condizione economica delle famiglie italiane e sui cambiamenti degli stili di consumo, a fronte della crisi economica.

I dati, pubblicati in questi giorni, evidenziano come  la situazione di sofferenza coinvolga ormai tutto il ceto medio: nel 2009, la spesa media delle famiglie è diminuita complessivamente  del 1,7%, ma quella alimentare, da sola, del 3%, ad indicare come i nostri concittadini concentrino il risparmio sul carrello della spesa. Il 60% ha consumato di meno, ma in questa percentuale rientra anche un 35% che ha acquistato prodotti di qualità inferiore: d’altronde rispetto alle spese fisse, legate alla casa e alla sua gestione, è al supermercato che si può tagliare sui costi e tentare di risparmiare. Diminuisce il consumo di carne, di frutta, verdura e pane e si scelgono i prodotti in promozione o con il marchio del distributore: insomma il fare la spesa richiede scelte oculate e ragionate, un vero slalom fra prezzi e offerte.

Ma la crisi economica sta anche provocando l’aumento delle distanze sociali, accentuando le disuguaglianze e accentrando la ricchezza nelle mani del 10% delle famiglie che, da sola, detiene quasi il 45% della ricchezza del Paese. Si tratta di una situazione che radicalizza le posizioni: i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri più poveri,  mentre la classe media scivola inesorabilmente nel disagio economico. Quest’ultimo è un fenomeno che l’America conosce bene e per cui ha trovato la definizione di “working poor”, lavoratori poveri: un tempo il lavoro rappresentava una garanzia contro la povertà, oggi questo  non è più vero. Servono quindi nuove politiche per la famiglia e per il  ceto medio. Il PD non solo protesta, ma anche propone, suddividendo tale proposta in 4 ambiti: 1) riforma fiscale: per spostare il carico fiscale dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale. (tassazione di tutti i redditi con una aliquota di riferimento del 20%); aumento delle detrazioni di imposta per le donne lavoratrici; assegnazione di un contributo annuo di 3000 euro per figlio ed eliminazione dei tetti ed il “click day” all’utilizzo dei crediti d’imposta per spese in ricerca e sviluppo e per gli interventi nel Mezzogiorno; innalzare la franchigia Irap per le piccole imprese; innalzare i limiti di fatturato e patrimonio e rivedere gli studi di settore; reintrodurre la detrazione di imposta del 55% per le eco-ristrutturazioni e per il risparmio energetico. 2) Allentamento del patto di stabilità: per evitare a Regioni, Provincie e comuni pesanti tagli agli investimenti (messa a norma edifici scolastici, green economy, politiche del welfare). 3) Integrazione delle risorse per la scuola: contenimento dei costi, incentivazione al lavoro per i giovani precari, riforma del sostegno al reddito per i giovani disoccupati. 4) Riavvio delle liberalizzazioni: nel settore dell’energia, della distribuzione, dei servizi bancari, servizi professionali e nel trasporto pubblico. Il tutto accompagnato da un contrasto alla evasione fiscale grazie alla riduzione a 2000 euro del limite per la fatturazione elettronica, accertamento sintetico da redditometro, accesso selettivo alle informazioni bancarie, basta a condoni o scudi fiscali e ripristino delle sanzioni ante 2008. Soprattutto chiedendo al Governo che nella manovra non siano previsti solo tagli, ma anche investimenti per lo sviluppo, così come stanno facendo Germania e Francia, per riavviare in modo virtuoso la ripresa   

Paolo Bonafè Membro Esecutivo Provinciale

PD VENEZIA

I rischi del federalismo demaniale

federalismo-demaniale-150x150Un nuovo processo sta interessando tutto il territorio nazionale e riguarda il trasferimento, a Regioni ed Enti Locali, dei beni dell’Agenzia del Demanio.

L’elenco dei beni trasferibili non è ancora definitivo, perché in discussione nella competente commissione bicamerale e verrà pubblicato solo a fine luglio: si tratta di un patrimonio inestimabile, che comprende edifici di grande valore storico, musei e fari ma, soprattutto, aree naturalistiche, che rappresentano tesori inestimabili. Nel nostro territorio il trasferimento riguarderà, ad esempio, l’ex Forte di S. Erasmo, l’ex Poligono del tiro a segno  a Murano, l’ex Caserma Pepe e gli arenili  al Lido e l’isola di S. Angelo delle Polveri. Ma anche l’isola dell’Unione a Chioggia  e le Dolomiti che fanno corona a Cortina d’Ampezzo.

Questa vicenda, se da un lato rappresenta l’esito di un percorso fortemente auspicato – perché vede le comunità riappropriarsi del proprio territorio di riferimento – dall’altro, apre alcune questioni di particolare criticità. Se Regioni, Province e Comuni sono chiamati a favorire “la massima valorizzazione funzionale” dei beni ricevuti, dall’altro potranno provvedere alla vendita di parte di essi per sanare il debito pubblico. Si apre così la strada ad una privatizzazione del territorio, che chiama in causa il rischio per il Paese di una nuova ondata di speculazione economica ed  edilizia. Voci autorevoli segnalano il pericolo di una operazione finalizzata alla necessità di rimpinguare le casse pubbliche e l’allarme per un processo che  nasconde, sotto la veste del  federalismo demaniale, un percorso di progressiva alienazione dei beni pubblici.

Paolo Bonafè Presidente  Laboratorio Venezia