Sussidiarietà e governance per un nuovo modello di Welfare.

I nuovi fenomeni sociali e i processi di impoverimento, che riguardano la società italiana, interpellano fortemente e in modo ineludibile l’azione politica nel suo complesso e, nello specifico, richiedono la definizione di un nuovo disegno strategico di welfare, che abbia come cardini il principio di sussidiarietà e il modello della governance: entrambi, oltre a determinare gli assetti organizzativi di governo di un territorio, orientano le politiche in una prospettiva che pone al centro il cittadino, con le sue reti sociali e relazionali.
Infatti, rispetto all’aumento di situazioni di povertà e all’ampliarsi di condizioni di vulnerabilità sociale, a fronte di una oggettiva riduzione di risorse finanziare, le politiche sociali non possono prescindere dalle reti di aiuto, che attraversano ogni territorio, dal capitale umano che esse esprimono, promuovendo azioni e valori improntati alla solidarietà e alla corresponsabilità.
L’attuale assetto normativo valorizza e sostiene i processi che favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: solo così è possibile garantire un modello di aggregazione sociale, capace di prossimità, accoglienza e risposte ai bisogni dei cittadini, attraverso percorsi in cui le persone stesse diventano protagoniste, mediante l’espressione delle risorse, dei saperi e delle competenze di cui sono portatrici, come singoli, come famiglie e come comunità nel suo complesso.
Questo modello di policy, può rappresentare una risposta efficace all’insicurezza e all’incertezza che caratterizzano l’attuale contesto, garantendo processi di coesione sociale, in grado di consolidare i rapporti tra cittadini e fra cittadini e istituzioni.

Paolo Bonafè
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

C’è bisogno di una nuova austerity

Ogni giorno veniamo informati dai media dell’aumento oramai irrefrenabile del costo del petrolio e di come lo stesso sia dovuto alle nuove richieste di prodotto che arrivano dai paesi emergenti asiatici e in particolare modo da Cina ed India. Chi è stato attento alle analisi fatte da tempo dai vari economisti potrà testimoniare che da tempo questi avevano sollevato preoccupazioni e come vi fosse la necessità di ripensare ai nostri consumi energetici, non solo per l’effetto serra e il relativo problema ambientale, ma anche e soprattutto, perché le risorse di greggio mondiali si stanno esaurendo. Infatti la maggior parte dei giacimenti sono stati scoperti negli anni ’60 e l’80% del petrolio che stiamo consumando è stato trovato prima del 1973 con un trend di nuove scoperte pari a un barile su quattro di petrolio consumato. Dato, inoltre, che stiamo raggiungendo la massima velocità di estrazione del petrolio e del gas naturale, gli esperti prevedono che il picco di estrazione del petrolio sarà nel 2010, mentre per il gas naturale si parla del 2020, senza considerare che la produzione di petrolio dal giacimento diventa progressivamente più difficoltosa e quindi sempre più costosa man mano che si estraggono porzioni crescenti della riserva recuperabile. Da questi dati la valutazione che le riserve mondiali di petrolio si potrebbero esaurire in circa 30 anni. Altro dato di analisi è quello che, finché solo il 19% della popolazione mondiale consumava il 50% del petrolio mondiale l’equilibrio prezzi/consumi poteva reggersi, ora che anche il colosso Asia richiede energia questo equilibrio va in pezzi. Pertanto il ripensare anche in Italia ad una nuova austerity dei consumi come negli anni 70 è quanto mai indispensabile e il blocco della circolazione totale delle auto in giorni prestabiliti servirebbe non solo per migliorare la qualità dell’aria delle nostre città, ma soprattutto per garantire una riduzione dei consumi e quindi dei prezzi dei combustibili.

Paolo Bonafè
Presidente di Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

La lezione di MORO sulla laicità

Il 16 marzo ricordiamo i trent’anni dalla strage di via Fani: il rapimento di ALDO MORO, il massacro della sua scorta e il suo assassinio, dopo 56 giorni di prigionia, segnarono in modo lacerante e irreversibile la storia della nostra Repubblica.
Ricordare, non è solo un dovere legato al rispetto e alla memoria, significa, anche, in un momento storico, segnato da troppe confusioni sul rapporto fra fede e politica, recuperare le radici più autentiche del significato che assume per un credente l’impegno civile.
Moro è stato il rappresentante più significativo di una generazione di giovani intellettuali cattolici che, al termine del secondo conflitto mondiale, volle, nel solco tracciato da Alcide De Gasperi, dedicarsi alla fondazione e costruzione dello stato democratico, prima nell’assemblea costituente, e poi nell’azione di governo.
Moro fu leader di quel cattolicesimo democratico cui va il merito di aver dimostrato che esiste una conciliabilità fra cristianesimo e democrazia, anzi la possibilità di un arricchimento della democrazia attraverso i valori e la tradizione religiosa.
In lui erano presenti una grande capacità di dialogo e di ascolto delle ragioni dell’altro, di lucidità nella lettura dei segni di cambiamento nella storia del nostro paese, di apertura a nuove prospettive dell’azione politica, costruendo le condizioni per l’entrata dell’allora Partito Comunista Italiano nell’area del governo.
Raffinato intellettuale, politico sapiente, rimase sempre un uomo profondamente fedele e coerente ai valori del cattolicesimo, pur nell’ autonomia dalla gerarchia ecclesiastica: il suo pensiero sul rapporto fra i cattolici impegnati in politica e la Chiesa, è ancora oggi di assoluta attualità e di alto valore morale.
Mi sembra che il suo pensiero possa essere pienamente colto nel discorso che questi fece al congresso nazionale della DC a Napoli nel 1962, dove in particolare dedicherà al tema della fatica che comporta l’essere cattolici impegnati in politica, questo passaggio della sua relazione: «per svolgere con vantaggio il difficile processo di attuazione della idea cristiana nella vita sociale […]. Anche per non impegnare in una vicenda estremamente difficile e rischiosa l’autorità spirituale della Chiesa c’è l’autonomia dei cattolici impegnati nella vita pubblica […]. L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza di valori cristiani nella vita sociale. E nel rischio che corriamo, nel carico che assumiamo c’è la nostra responsabilità morale e politica…».

Da questo, credo, si possa evincere il suo grande insegnamento sulla laicità, che riguarda lo sforzo della comprensione, del rispetto, dell’ascolto reciproco, accompagnati ad un sentimento di inquietudine, derivante da un profondo senso di responsabilità, che deve essere la caratteristica pregnante dell’impegno politico dei cristiani.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it