Convegno Verona – prime impressioni

Oggi è presente la consapevolezza e il senso forte di responsabilità per l’ essere stati parte di un evento, che ha avuto origine nelle nostre diocesi, nelle quali e per le quali abbiamo svolto un lavoro di raccolta delle esperienze più significative, dei segni di speranza e delle fatiche e criticità. Di questo patrimonio ricco siamo stati portavoce presenti al Convegno Ecclesiale Nazionale, luogo di sintesi, di riflessione e di ripartenza. Questo cammino, pertanto, non si è compiuto a Verona, ma da lì riparte con nuovo slancio e ci chiama a tornare alle nostre comunità, riportando l’esperienza vissuta, quale nuova linfa da mettere in circolo e condividere nelle nostre realtà ecclesiali.
Il nucleo forte e centrale è l’attenzione antropologica all’uomo, riguarda il nostro essere chiamati, in modo personale e comunitario, come testimoni, a dare ragione della nostra speranza in tutte gli ambiti in cui si declina la nostra esistenza, nella semplicità della quotidianità : nella ricchezza delle relazioni affettive e d’amore; nel ritmo del fluire dei nostri giorni fatti di lavoro e festa; nella dimensione, che tocca profondamente ognuno di noi, della fragilità; nella responsabilità della trasmissione della fede e dell’esperienza della vita cristiana; nell’impegno nella storia attraverso la cittadinanza, affinché riusciamo ad essere uomini e donne nel mondo e non del mondo.
L’esperienza di questi giorni ha messo in luce, proprio attraverso il lavoro dei 30 gruppi di studio la presenza di alcune parole chiave, straordinariamente condivise e che attraversano la Chiesa italiana:
-la centralità della parrocchia, cellula base indispensabile del nostro essere comunità, luogo della formazione, della crescita spirituale, della condivisione;
-la necessità di pensare ad una pastorale integrata, quale autentico strumento di formazione che tenga insieme tutte le dimensioni della vita dell’uomo;
-la parola “rete”, quale invito e chiamata a tutti i soggetti presenti nelle realtà ecclesiali, ad essere in sinergia fra loro, superando divisioni e rivalità, perché ognuno possa mettere a disposizione di tutta la comunità i propri carismi e la propria vocazione. Ma la rete anche come modello di relazione fra il mondo cattolico e i soggetti della società civile, con cui ci si trova ad agire nello scenario sociale.
In modo più personale, grazie anche al lavoro nei gruppi di studio, ho fatto esperienza di una chiesa ricca, “polifonica”, impegnata su una molteplicità di fronti nella vita del nostro paese. Una Chiesa, bella e autenticamente innamorata di Cristo, che forse per l’opinione pubblica è faticoso rintracciare nei discorsi ufficiali, per loro natura complessi e molto articolati.
Ho raccolto un desiderio profondo di conoscerci, di condividere esperienze, di raccontarci le fatiche, di trovare insieme parole e modi per comunicare la Speranza di Cristo all’uomo di oggi.
Ho scoperto una chiesa che si interroga, anche con sguardo critico, che chiede a se stessa stili di vita coerenti, improntati alla sobrietà, all’accoglienza, all’ascolto, al servizio, secondo lo stile della “Chiesa del grembiule”.
Ho avuto anche la gioia ed il privilegio di incrociare la spiritualità di alcune religiose, appartenenti ad ordini diversi. In tutte ho trovato una fede capace di essenzialità, di parlare direttamente al cuore dell’uomo, una ricchezza segnata da una sensibilità al femminile, che necessiterebbe di una maggiore valorizzazione nella nostra Chiesa.

Francesca Vingiani in Bonafè

Dopo la Visita Pastorale al LIDO del nostro Patriarca Angelo impegniamoci tutti per una vita migliore

La Visita Pastorale del Patriarca al LIDO nel 2005/2006 ha rappresentato un evento importante, non solo per le comunità parrocchiali, ma per la tutta la comunità dell’ isola.
Lo stimolo del Cardinale Scola di raccontarci per riconoscerci, ci ha costretto a guardare alla nostra isola, come ad un sistema complesso ed articolato costituito da fattori ambientali, antropologici, economici, infrastrutturali, sociali e relazionali.
Il Patriarca ha chiesto ai cristiani del Lido di interrogarsi profondamente e sinceramente sulla loro fede, sul loro essere comunità, ma anche sui loro rapporti con il territorio in cui abitano.
Ci ha immesso così in un percorso di consapevolezza e maturità, ci ha fatto guardare al Lido come ad un luogo privilegiato, in cui beneficiamo di una qualità della vita particolare.
In primis, la conformazione geo-morfologica dell’ isola che garantisce un insieme paesaggistico e naturalistico unico, tutelato dalla Convenzione di Ramsar del 1977, documento che ha definito tutta la nostra Laguna area tutelata e protetta; la vicinanza con il centro storico di Venezia; la stessa presenza in loco dei borghi storici di Malamocco e San Nicolò; un contesto urbano di pregio; la presenza di attrezzature turistiche e sportive di particolare qualità.
Un patrimonio importante per rilanciare la storica vocazione turistica dell’economia locale.
Dal punto di vista sociale, va riconosciuto che viviamo in un luogo dove sono assenti macrofenomeni di marginalità e di conflittualità sociale, con una buona sicurezza del territorio.
D’altro canto, non possiamo nascondere alcune criticità, quali fattori che incidono sull’esodo e il conseguente invecchiamento della popolazione: un alto costo della vita, un mercato della casa a prezzi proibitivi, un alto fattore di pendolarità, con lunghi tempi di trasporto per la terraferma; una politica sanitaria, che crea senso di insicurezza nei cittadini e che non vuole chiarire l’ambiguità tra una sanità pubblica, che vede nel tempo la diminuzione dei servizi offerti, con l’enorme possibilità di sviluppo del Polo Sanitario insito nell’area degli Istituti Ospedalieri degli Alberoni.
Bisogna proporre un modello di sviluppo, che permetta di mettere insieme, coniugandole, la vocazione residenziale e quella turistica dell’isola, in un progetto complessivo di riqualificazione. Si deve avviare un processo innovativo di costruzione di una partnership tra pubblico e privato, dove si siedano attorno ad un unico tavolo gli Enti locali, le Aziende Pubbliche, gli Enti culturali della città, l’imprenditoria locale e l’associazionismo.
L’obiettivo è quello di garantire la definizione di obiettivi e strategie condivise così che ogni soggetto possa mettere in campo, in modo sinergico e complementare, le competenze e le risorse specifiche della propria "mission" e della propria funzione, garantendo il rilancio economico e turistico dell’isola, l’attenzione al tessuto sociale e al sistema eco – ambientale.
Dal punto di vista sociale, dobbiamo anche riconoscerci portatori di una cultura complessivamente individualista e poco partecipativa, che rischia di innescare processi di delega, senso di isolamento e scarsa solidarietà.
Diventa indispensabile promuovere una cultura di identità e senso di appartenenza, individuando strumenti di progettazione partecipata, che aumentino i livelli di presenza attiva e il senso di responsabilità individuale e collettivo
Vanno attivati percorsi di valorizzazione delle risorse e delle potenzialità della comunità, affinché sia essa stessa in grado di formulare le risposte ai bisogni/problemi di cui è portatrice.
Le comunità parrocchiali e la società civile sono pertanto chiamate ad essere attori, interlocutori dialoganti, risorse reciproche, nel perseguire l’obbiettivo primario di porre l’ essere umano quale soggetto protagonista della polis cittadina.

Paolo Bonafè e Francesca Vingiani – Vicariato del Lido

Il ruolo dell’Anziano nella nostra società

Il passaggio dalla società rurale a quella urbana ed industriale, ha comportato, fra i molteplici e complessi mutamenti, anche la trasformazione della storica struttura familiare, da patriarcale a nucleare, causando una graduale perdita di ruolo sociale da parte dell’anziano. La nostra società è governata dall’ideologia dell’efficienza e dell’eterna giovinezza: conta chi produce, chi consuma, chi mantiene un fisico atletico e prestante, creando sentimenti di esclusione nella pluralità di persone che non rientrano in questi canoni. L’anziano senza riconoscimenti affettivi ed in perdita di un ruolo sociale, non riesce ad attribuire significati alla propria esistenza, non trova motivazioni che mettano in moto energie vitali e si lascia morire per inedia. Sicuramente una rete di servizi sociali efficienti ed efficaci è indispensabile a garantire funzioni di monitoraggio, di cura, e supporto agli anziani, ma per quanto siano competenti e sensibili gli operatori che vi operano, essi non possono essere chiamati a supplire alle relazioni affettive naturali, che alimentano la vita di ognuno di noi: le reti familiari, amicali, di vicinato. Dal tema dell’assistenza dobbiamo passare al tema della cultura, intesa come processo di cambiamento e di sviluppo di sensibilità, attenzioni, forme di solidarietà. Le trasformazioni sociali non si realizzano attraverso vuoti slogan, ma attraverso la condivisione di valori che superino la mentalità individualista ed egoistica, che conduce tutti alla solitudine ed all’isolamento: bambini, adolescenti, famiglie, adulti, anziani. Le cronache delle nostre città, ogni giorno, riportano ed evidenziano i drammi e le violenze che questi modelli di vita stanno provocando. Il lavoro sociale, oggi, non può essere ridotto all’assistenza, deve essere attività, cui è chiamata una pluralità di soggetti, volta alla comunità, perché recuperi e valorizzi competenze e capacità nel riconoscere le proprie fragilità e le proprie risorse, per individuare le risposte più opportune, finalizzate a rispondere alle richieste di aiuto, che essa stessa esprime. Pertanto la politica deve essere strumento progettuale ed educativo per intervenire in una Società sempre più isolante per coloro che “sono rimasti indietro nella corsa al successo” o per coloro che, oramai anziani, sono usciti dal ciclo produttivo.

Paolo Bonafè – Presidente Ass. Laboratorio Venezia