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Le molteplici dimensioni della povertà

L’attuale scenario sociale delinea una pluralità di fenomeni che, per semplicità di definizione, mettiamo sotto il titolo “povertà”.
Questo concetto, che fino agli anni settanta rimandava ad una condizione di privazione sotto il profilo economico, ha visto poi assumere significati complessi e articolati, che intrecciano una molteplicità di situazioni (le famiglie, le madri sole, gli anziani..), mettendo in risalto una dimensione riferibile a mancanza di strumenti culturali, a scarse competenze sociali, a carenze di relazioni affettive e di legami sociali, a solitudini individuali.
I mass media riportano dati allarmanti rispetto ad un processo di impoverimento che sta attraversando il nostro paese e che riguarda un ampio spettro di condizioni, dall’ estrema marginalità alla difficoltà economica, che diventa fatica quotidiana per le persone che appartengono alla classe media.
Pertanto, assistiamo da un lato alla crescita del fenomeno delle persone senza dimora, un fenomeno tipico dei paesi ricchi, che, rappresentando la situazione limite della condizione di povertà, evidenzia, in modo drammatico, gli elementi di contraddizione presenti nei nostri modelli di sviluppo economico.
La complessità di questa condizione di vita e delle sue caratteristiche ne rende difficile la quantificazione precisa: le stime ci dicono che in Italia il numero dei senza dimora si aggira tra le 65.000 e le 110.000 unità, nel Veneto, una ricerca promossa dalla Regione nel 2005, ne ha rilevati 1.211.
Gli studi effettuati sul campo, ci mostrano che i senza dimora non rappresentano una unica categoria di persone: a questo fenomeno si ascrive una pluralità di forme di emarginazione, che portano all’esclusione sociale. Altresì, non esiste un evento traumatico che, da solo, espella le persone dal circuito dell’integrazione: la ricostruzione biografica ha, infatti, messo in luce percorsi di vita segnati da una molteplicità di “fratture”, che riguardano la sfera delle relazioni affettive e sociali. La persona senza dimora, quindi, non vive solo una condizione estrema di povertà: la sua situazione è, piuttosto, l’esito di un processo in cui si sono sommati una pluralità di eventi, che hanno comportato una rottura progressiva delle reti familiari e sociali. Questo stato di deprivazione cronica, di incapacità relazionale, rischia di escludere queste persone anche dall’accesso alle risorse offerte dai servizi sociali e mette a repentaglio la loro stessa sopravvivenza.
Ma oggi, come precisato in premessa, sta emergendo un nuovo fenomeno ascrivibile al concetto di vulnerabilità sociale, intesa come condizione di fragilità, causata, da fattori di rischio in ambito sociale, che attraversano le dimensioni fondanti del nostro vivere: l’ambito delle relazioni familiari, quello del lavoro e dei legami comunitari.
Gli operatori sociali, del pubblico e del terzo settore, segnalano un aumento delle richieste di aiuto da parte di alcune fasce di popolazione, che non sono assimilabili ai target classici di utenza: tale disagio potrebbe essere riconducibile alle caratteristiche del micro contesto sociale in cui le persone sono inserite, piuttosto che alle persone stesse. Viene messa, così, in luce la presenza nella nostra società di soggetti deboli, vulnerabili appunto, che possono entrare in percorsi di esclusione a seconda dei contesti in cui sono inseriti. Se ne deduce, pertanto, che il rischio di esclusione sociale non è più e solo strettamente correlato all’ appartenenza ad una categoria specifica di disagio, ma è spesso correlata alla presenza o assenza di contesti familiari e reti sociali, che possono rappresentare un importante e determinante fattore di protezione all’esclusione.
Paolo Bonafe’
Presidente laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

L’Esclusione sociale dei "Senza Dimora"

I dati relativi alle persone senza dimora segnalano la crescita di un fenomeno tipico dei paesi ricchi, che, rappresentando la situazione limite della condizione di povertà, evidenzia, in modo drammatico, gli elementi di contraddizione presenti nei nostri modelli di sviluppo economico.
La complessità del fenomeno e le sue caratteristiche ne rendono difficile la quantificazione precisa: le stime ci dicono che in Italia il numero dei senza dimora si aggira tra le 65.000 e le 110.000 unità, nel Veneto, una ricerca promossa dalla Regione nel 2005, ne ha rilevati 1.211.
Gli studi effettuati sul campo, ci mostrano che i senza dimora non rappresentano una unica categoria di persone: a questo fenomeno si ascrive una pluralità di forme di emarginazione, che portano all’esclusione sociale. Altresì, non esiste un evento traumatico che, da solo, espella le persone dal circuito dell’integrazione: la ricostruzione biografica ha, infatti, messo in luce percorsi di vita segnati da una molteplicità di “fratture”, che riguardano la sfera delle relazioni affettive e sociali. La persona senza dimora, quindi, non vive solo una condizione estrema di povertà:la sua situazione è, piuttosto, l’esito di un processo in cui si sono sommati una pluralità di eventi, che hanno comportato una rottura progressiva delle reti familiari e sociali. Questo stato di deprivazione cronica, di incapacità relazionale, rischia di escludere queste persone anche dall’accesso alle risorse offerte dai servizi sociali e mette a repentaglio la loro stessa sopravvivenza, soprattutto nelle notti invernali, come purtroppo riporta ogni anno la tragica cronaca nazionale. Con l’avvento dell’euro si è inoltre abbassata la soglia di povertà e quindi, dobbiamo mettere da parte le demagogiche politiche di esclusione e puntare su politiche di welfare sempre più attente ai nuovi bisogni.

Paolo Bonafe’
Presidente laboratorio Venezia
www.laboratoriovenezia.it

Troppe volte gli abusi sui minori avvengono in Famiglia

Il dramma di Antonietta, bambina di 4 anni morta per soffocamento, ma sulla quale sono stati riscontrati abusi sessuali da parte del prozio, è l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di abusi, che vedono troppe volte coinvolti i famigliari. Purtroppo le statistiche, evidenziate anche dal IX Concesso di Pediatria Adolescenziale, denunciano come il 70% degli abusi sui minori avvenga in famiglia e come oramai un adolescente su cinque in Europa sia vittima di abuso sessuale. Fenomeno che comprende una complessità di comportamenti e reati che vedono, oltre all’abuso strettamente fisico, l’esibizionismo e la pornografia via internet. Il profilo della vittima “tipo” mette in luce caratteristiche di particolare fragilità: si tratta di bambine piccole, non in grado di parlare, o disabili, o affette da malattie croniche o figlie di famiglie “disfunzionali”. Questo fenomeno, in crescita esponenziale, avviene in gran parte per mano di parenti, amici e vicini di casa. I rimanenti casi avvengono nelle palestre, nei circoli sportivi, negli oratori, nelle scuole, ed anche in questi luoghi, solo una minima parte degli aggressori sono degli sconosciuti. Pertanto, l’impegno dei genitori e di tutti coloro che svolgono una funzione educativa, è di prestare una grande attenzione, perché è proprio nei luoghi che consideriamo protetti (le mura domestiche, le case di parenti e amici) che può nascondersi il “lupo cattivo”: anche lui molto spesso portatore di una drammatica storia di abusi infantili. Quest’ultima riflessione, mette in luce l’indispensabilità di sviluppare cultura ed interventi di tutela all’infanzia e all’adolescenza, quale strumento imprescindibile per interrompere questa spirale di violenza ed orrori.

Paolo Bonafe’
Presidente laboratorio Venezia
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Il fenomeno prostituzione: bisogna individuare strumenti legislativi e sociali per la tutela del diritto alla vita e della dignità umana

La tratta degli esseri umani è un fenomeno sociale di grande rilevanza, che rappresenta un crimine grave ed una profonda violazione dei diritti umani; esso consiste nel trasporto di persone, donne, uomini e minori, da un paese ad un altro, per mezzo della coercizione e dell’inganno, con l’obiettivo del loro sfruttamento in campo sessuale e lavorativo, ma anche tramite attività di accattonaggio e traffico di organi. La Convenzione del Consiglio d’Europa per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, all’art.3, riconosce il diritto di tutte le persone di non essere sottoposte “al trattamento inumano o degradante” e all’art. 4 proibisce la schiavitù. Il Consiglio d’Europa ritiene che la tratta degli esseri umani rappresenti la terza fonte di denaro prodotta dalla criminalità organizzata, dopo le armi e la droga. Se collochiamo il fenomeno della prostituzione in questo quadro, comprendiamo quanto importante sia individuare strumenti legislativi e sociali, che vadano ad intervenire a tutela del diritto alla vita e alla dignità delle tantissime persone che vendono i loro corpi sulle nostre strade e sono,contemporaneamente, vittime sfruttate e fonte di guadagno per il racket della criminalità organizzata. Di fronte a questa complessità, è necessario mettere a punto una strategia articolata, che veda costruire sinergie e collaborazioni fra le forze dell’ordine, le pubbliche amministrazioni e la pluralità di soggetti della società civile. Perché la lotta alla prostituzione si attua tramite azioni normativo-repressive, ma necessita indispensabilmente di interventi sociali, educativi e culturali.

Paolo Bonafe’
Presidente Laboratorio Venezia
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Il fenomeno della dipendenza da gioco: nuovo allarme sociale

Il gioco d’azzardo in questi ultimi anni sta conoscendo un’accelerazione della sua diffusione per le condizioni che lo hanno reso sempre più capillare, accessibile ed allettante.
In molti casi si tratta di un passatempo senza gravi ripercussioni, ma che ha assunto comunque dimensioni impressionanti, anche per il volume di denaro che movimenta.
C'è chi gioca per svago occasionale, c'è chi insegue un sogno di ricchezza non realizzabile, c'è chi si trova a giocare perché "deve", spinto da una dipendenza psichica che è una vera e propria malattia.
Per comprendere lo stato d’animo che pervade il giocatore d’azzardo lasciamo a Dostoevskij la descrizione più efficace, tratta dal suo romanzo Il Giocatore, “M’invase una terribile sete di rischio. Forse, passando attraverso tante sensazioni, l’anima non se ne fa sazia, fino allo spossamento, definitivo (…) Provavo solo una tremenda voluttà, di riuscita, di vittoria, di potenza, non so come esprimermi”.
A rendere più complessa la situazione attuale è la capillarità con cui i giochi elettronici, tipici dei casinò, sono distribuiti nei pubblici esercizi, con la differenza che i casinò hanno la caratteristica di essere strutture poco diffuse, di non permettere l’accesso ai minorenni e di garantire articolati sistemi di controllo sulle persone e sugli apparecchi, attraverso la taratura delle probabilità di vincita.
Rispetto ai videogiochi tradizionali, che consistono in gare di abilità e concentrazione dove l'obiettivo finale è il punteggio, i videopocker, che li hanno soppiantati, hanno come fine una vincita economica proporzionale alla puntata, del tutto indipendente dall'abilità del giocatore.
Il gioco sembra rappresentare una fuga magica rispetto alla fatica di sottostare alla vita comune, fatta di frustrazioni e di sacrifici, nell’aspettativa illusoria di una vincita definitiva, che cambi radicalmente la vita di ciascuno.
Gli esperti definiscono questo fenomeno una new addiction, cioè una nuova forma di dipendenza, come lo shopping compulsivo o la dipendenza da internet.
Quella da video-macchinetta è una delle patologie più devastanti perché comporta il rischio di instaurare un rapporto con la macchinetta di amore-odio che porta ad una completa estraniazione dalla realtà.
Nel momento in cui si instaura la dipendenza, il gioco diviene compulsivo, sfugge cioè al controllo ed alla volontà della persona; nei familiari avanzano angosciosi sospetti nel momento in cui ci si trova a fronteggiare un disagio economico, non correlabile al reddito della persona.
Il giocatore patologico non percepisce il suo comportamento come una malattia e ritiene, erroneamente, di poter smettere in qualsiasi momento, ma di fatto, per continuare a giocare anche in assenza di disponibilità finanziaria, assume comportamenti irresponsabili, accumulando debiti, ricorrendo al prestito di una finanziaria o peggio entrando nei circuiti dell’usura, immettendosi in percorsi dagli esiti di drammatica portata.
Di fronte a questo fenomeno e alle sue ricadute sociali, è la società nel suo complesso che deve interrogarsi, perché la proliferazione delle opportunità di gioco d’azzardo rappresenta l’ennesima dimostrazione che la logica del profitto ha il sopravvento sulla dimensione etica.
Sono diversi i livelli di responsabilità chiamati a concorrere per affrontare questa nuova forma di dipendenza, che necessita di interventi legislativi, normativi e tecnico-professionali.
Ma il fenomeno riguarda anche la comunità nel suo complesso, perché va promossa una sensibilizzazione sui rischi del gioco d’azzardo, che porti a considerare questo comportamento non un “vizio” ma una patologia, che necessita di cura. Questo per permettere alle persone e alle famiglie coinvolte di poter chiedere aiuto e trovare reti di sostegno e supporto.

Giornata della Memoria

Il secolo appena trascorso è stato testimone di una indicibile tragedia, che non potrà mai essere dimenticata: il tentativo del regime nazista di sterminare il popolo ebraico, con la conseguente uccisione di milioni di ebrei, uomini e donne, vecchi e giovani, bambini e neonati.
Alcuni di questi furono uccisi immediatamente, altri furono umiliati, maltrattati, torturati e privati della loro dignità ed infine uccisi. Solo pochi di coloro, che furono internati nei campi di concentramento, sopravvissero ed i superstiti, per tutto il proseguire della loro esistenza, sopportarono e sopportano sulla loro carne e nella loro anima ferite, angosce e terrori. Questo fu la SHOAH: uno dei principali drammi della storia. Questo termine fu coniato da ELIE WIESEL, scampato ad AUSCHWITZ e Premio Nobel per la letteratura, per modificare la terminologia “OLOCAUSTO” che proveniva da una analogia tra il sacrificio, raccontatoci nella Bibbia, al quale doveva venire sottoposto Isacco figlio di Abramo. Definizione che risultava pertanto riduttiva ed impropria per indicare la determinata strategia di sterminio perpetrata nei confronti del popolo ebraico.
La “giornata della memoria”, istituita con legge n. 211 del 20.07.2000 art. 1, cade il 27 gennaio di ogni anno, data scelta, in quanto anniversario del giorno in cui vennero abbattuti i cancelli di Aushwitz. La celebrazione di questa giornata deve rappresentare un monito per le nuove generazioni, deve essere un richiamo per ciascuno di noi, poichè la barbarie umana non ha mai fine, l’orrore delle leggi razziali, degli stermini e delle persecuzioni continuano a rappresentare un filo rosso insanguinato evidente e rintracciabile nella storia contemporanea. E’ sufficiente nominare la BOSNIA, l’ IRAQ e quanto succede tutt’oggi in tante, troppe parti del Mondo. PAPA GIOVANNI PAOLO II, nella lettera apostolica “TERTIO MILLENNIO ADVENINTE” scrisse: “ …è giusto pertanto che, mentre il secondo millennio del cristianesimo volge al termine, la chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e dal suo Vangelo, offrendo al Mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori di FEDE, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo”.
Pertanto, dinanzi al genocidio del popolo ebraico nessuno può dichiararsi non responsabile, come nessuno oggi può restare indifferente agli orrori ed alle ingiustizie del tempo presente. La volontà di giustizia e pace devono rappresentare i valori fondanti dell’agire personale e sociale di tutti gli uomini di “buona volontà”, affinché dalla memoria consapevole della pagina più buia della storia d’Europa, si sappia trarre insegnamento per costruire un mondo solidale e rispettoso delle differenze culturali e religiose.

Paolo Bonafè
Ass.cult. Laboratorio Venezia